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La realtà travolge la finzione

(da La Stampa di Torino)


MARCELLO SORGI

L’incredibile è avvenuto: sotto gli occhi dei telespettatori che seguivano in diretta, il partito di Berlusconi - quello del predellino di Piazza San Babila, il partito di plastica delle grandi adunate, delle «ola» e dei karaoke -, tutt’insieme s’è frantumato. Per la prima volta in tanti anni, Berlusconi e Fini non rispondevano più al copione prestabilito, litigavano veramente davanti a tutti, a un certo punto sembrava pure che stessero per menarsi.

E davanti a questo crudo squarcio di realtà, i ministri che li avevano preceduti con i loro discorsi di propaganda - le realizzazioni del governo, il progresso del Paese, il sogno da non spezzare - d’improvviso parevano, loro sì, pupazzi di cera.

Nessuno avrebbe mai previsto che la politica, quella vera, fatta di passione e di sangue, potesse fare irruzione anche nel Pdl. Così come nessuno avrebbe mai creduto che nel salone dove poco prima Berlusconi assegnava i posti alle comparse - raccomandandosi di riempire le prime file, perché i giornalisti, si sa, puntano le telecamere sempre sulle poltrone vuote - a un certo punto potesse volare la famosa «merda nel ventilatore», proprio quella di Formica ai tempi del vecchio Psi, e a sorpresa si potesse ricreare il clima unico del «catino» dei consigli nazionali Dc, dove il veleno dei capicorrente scorreva tra i sorrisi dei finti amici e la rassegnazione delle vittime predestinate.

Si dirà che l’occhio e la memoria del cronista fanno presto a illudersi su un ritorno impossibile della politica, tradizionalmente intesa, in un partito che rimane proprietà privata del suo leader-padrone, come hanno dimostrato ampiamente i risultati delle votazioni finali e l’umiliazione pubblica del dissidente Fini, tornato a casa con undici miseri voti nella saccoccia. Tecnicamente, quello del presidente della Camera oscilla tra un suicidio politico e il gesto di un kamikaze: se anche sperava, stringendosi attorno alla vita la cintura esplosiva, di cambiare qualcosa, dovrà ammettere che non c’è riuscito.

Ma anche Berlusconi a questo punto dovrà riconoscere di non potersi più considerare il capo carismatico e indiscusso della sua creatura. La sua idea che si discute e si vota, e poi tutti fanno e dicono quel che ha detto chi ha vinto, supera perfino il più autoritario centralismo democratico del vecchio partito comunista. E s’è infranta, quel che è peggio, nella libera rivendicazione del diritto al dissenso, al confronto tra diversi, alla possibilità di rimettere in discussione gli accordi e perfino di perseguire idee sbagliate e destinate a finire in minoranza, tipica dei partiti liberali.

Man mano che l’accartocciarsi della sua ennesima messa in scena si svolgeva sotto i suoi occhi, il Cavaliere - fatto inatteso - trasfigurava anche lui. Sì, quella di Berlusconi - un Berlusconi col trucco disfatto e fuori dai gangheri - non è stata solo la reazione di un padre-padrone, ma anche, miracolosamente, di un uomo e di un leader appassionato, che lotta perché tiene veramente alle sue idee, sa cosa vuole la sua gente ed è pronto a difendere fino allo stremo le sue posizioni.

Dopo quel che è accaduto, certo, è difficile dire come finirà. La previsione più logica è che da separati in casa i due cofondatori non andranno lontano, e presto finiranno a contarsi in nuove elezioni anticipate. A meno che - ma è una scommessa improbabile - non capiscano che quel che è successo, pur con tutto il carico di risentimento che ha lasciato, non è detto per forza che sia negativo. Dopo sedici anni di reality e di politica-spot, l’irruzione della realtà nel tempo di celluloide del partito berlusconiano dovrebbe spingere Berlusconi e Fini a fare i conti con se stessi una volta e per tutte.

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