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Il silenzio dei politici sulla crisi della burocrazia



di Guido Colomba



(The Financial Review n.746) Paul Krugman e Salvatori Rossi hanno rotto il silenzio sulla crisi della burocrazia in Europa e in Italia. Alla vigilia delle votazioni del presidente della Repubblica (mentre la nomina del nuovo governo è congelata da 50 giorni) su questo tema vi è l'assordante silenzio della classe politica. "Con i tassi di riferimento prossimi allo zero, scrive ("Il Sole24Ore 13/04) il Nobel americano- l'effetto recessivo dell'austerità" non è mitigato da nessun altro fattore. Invece c'è bisogno di "misure di stimolo all'economia. Solo quando vi sarà la ripresa e il timore di nuove bolle immobiliari e del debito sarà di nuovo possibile usare la politica monetaria come compensazione alla contrazione della spesa pubblica". Più chiaro di così. Negli Usa la Fed ha il duplice mandato di garantire la stabilità dei prezzi e di realizzare la piena occupazione. In Europa, la Bce nel 2011 (prima dell'arrivo di Draghi), in presenza di una forte disoccupazione, alzò addirittura i tassi. La Germania della Merkel, a cinque anni dalla scoppio della crisi, ancora cavilla sulla nascita della vigilanza unica europea sostenendo che essa implica la modifica dei trattati europei. Nel frattempo i media continua a dare annunci roboanti sulle "unanimi decisioni" di Ecofin che nei fatti non trovano attuazione. E l'Italia? Il vicedirettore della Banca d'Italia, Salvatore Rossi (uno dei dieci saggi nominati d Napolitano) ha sottolineato che "la burocrazia è un freno ed è la prima riforma da fare". Il problema- ha detto- è il nesso perverso tra assetto normativo e prassi amministrative che disincentiva le decisioni. E' alto il rischio che una legge non produca effetti a causa della miriade di decreti attuativi non fatti o fatti in ritardo". E' quello che sta succedendo con il decreto varato dal governo per gli arretrati (tra i 90 e i 140 miliardi pari a 5-6 punti di PIL) che lo Stato deve alle imprese. Il decreto copre nel 2013 solo 20 miliardi pari al 13,8% del dovuto. Nonostante questo limite "Il Sole24 Ore" ha calcolato che vi sono ben 36 passaggi da superare perché un'impresa ottenga il pagamento delle fatture emesse. Insomma, a pretendere le tasse, Equitalia (che applica un aggio dell'8% più 5,25% di interessi di mora) è molto lesta ma ricorre (ovviamente su indicazione del Tesoro) a mille stratagemmi per non pagare. Anche in termini di macroeconomia l'anno scorso, nei corridoi governativi, si sosteneva che una "spending review" troppo accelerata avrebbe aggravato la crisi e il commissario straordinario Bondi fu subito allontanato dai politici. Ciò ha incentivato la scelta di non pagare i debiti dello Stato verso le imprese. Nel periodo 2008-2011 – ha precisato Vincenzo Visco - questi debiti sono raddoppiati. Una scelta scellerata. Ma, come ha detto Squinzi a Torino, se l'impresa muore anche il Paese muore come è attestato dal milione di nuovi disoccupati registrato nel 2012 e dai 56 fallimenti di imprese al giorno (4386 da inizio anno). Non può meravigliare che i consumi siano in caduta libera. Occorre dare atto che Matteo Renzi, già nel novembre scorso durante le primarie del Pd, diede l'allarme sul problema della burocrazia. Occorre con urgenza un piano organico, un insieme di misure che disegnino una società più moderna e competitiva. "La più evidente anomalia - ha detto al "Corriere"il vicedirettore generale della Banca d'Italia Rossi - è il malfunzionamento della pubblica amministrazione a causa dell'assetto normativo e regolamentare mentre in paesi come la Francia e la Germania l'impianto normativo è orientato molto più a favore dell'efficienza".