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A quando una nuova politica economica?

22/08/2013 11.04.20

di Guido Colomba



(The Financial Review n. 773) La politica italiana si dipana in una dialettica senza fine e senza risultati. Il Paese non ne può più. Come nel famoso film di Kuprin si può dire: "all'ovest niente di nuovo". Due notizie descrivono il quadro interno. 1) Il contributo italiano ai salvataggi europei ha superato i 50 miliardi di euro di cui 10 miliardi per la sola Grecia. A ottobre altri 2,8 miliardi da versare all'Esm con una previsione di 58 miliardi di aiuti a fine anno; 2) Competitività: l'ad di Atlantia, Castellucci, ha segnalato che viene dall'estero il 90% dei finanziamenti per migliorare la rete infrastrutturale mentre dall'Italia arriva solo il 10%. A sua volta il presidente dell'Eni, Recchi, ha invocato al convegno di CL un "nuovo modello di governance della nostra democrazia che non blocchi chi vuole investire". E' evidente che occorre puntare con decisione ad una riforma del sistema bancario a cominciare dalle Fondazioni che bloccano la crescita del Paese essendo una cinghia di trasmissione della politica. La lettura cronologica di quanto è successo negli ultimi venti anni dimostra che il Tesoro e dintorni (Bankitalia) sono altrettanto responsabili e impediscono di sbloccare il Paese. Basti pensare all'intenso utilizzo dei contratti derivati, deciso fin dal 2003 a via XX Settembre per "coprire" i rischi dei titoli di stato italiani emessi dal Tesoro stesso... Una prassi che si è colpevolmente allargata a Comuni, Province e Regioni. Questi ultimi hanno tuttora contratti derivati con un "nozionale" di 28 miliardi ed una perdita potenziale di 6,5 miliardi. Nel frattempo si discute ancora su come e quando consentire alle imprese una compensazione tra le tasse da pagare e i crediti non pagati dallo Stato (finora solo 20 miliardi autorizzati nel secondo semestre del 2013 su un totale di oltre 100 miliardi pari al 5,9 % del Pil). Anche il dibattito sull'IMU - con 2,2 miliardi é esente il 90% delle prime case - diventa risibile alla luce di queste cifre così imponenti, specie se si guarda ai mancati tagli alla spesa corrente pari a 400 miliardi di euro su un totale di oltre 800 miliardi di spesa pubblica. Non a caso il segretario generale della Cisl, Bonanni, ha denunciato sprechi nella spesa corrente di oltre 20 miliardi all'anno, frutto - ha detto al Messaggero - di blocchi di potere tra gruppi lobbistici e alta burocrazia dello Stato. Sempre in materia di conflitti di interesse e di basso livello qualitativo degli atti legislativi, il presidente della Corte dei Conti (re: 19 agosto "Messaggero") ha detto che "la promiscuità governo-magistrati andrebbe abolita" precisando che la "sovrapposizione più grave è a livello personale con i giudici presenti in uffici legislativi e gabinetti dei ministri" (ad esempio il decreto del "Fare" richiede 87 norme attuative). Ma il Parlamento non solo non reagisce alle denunce circostanziate della Corte dei Conti ma ne teme "le invasioni di campo"specie a livello territoriale. Lo scontro è frontale: la relazione della Corte dei Conti chiede che gli enti locali redigano bilanci consolidati che includano anche l'attività delle società partecipate (sono oltre ottomila con circa 25mila cariche sociali - più consulenti - troppo spesso attribuite agli amici della classe politica) che, guarda caso, alimentano ogni anno il deficit pubblico. Se si vuole guardare al bicchiere mezzo pieno si può dire che la recessione italiana ha consentito: a) di identificare molto bene i nodi da sciogliere e gli strumenti attuativi; b) di effettuare un confronto internazionale molto accurato destinato a favorire le "eccellenze italiane" e le "nicchie"così invidiate dall'estero. Non va dimenticato che l'industria italiana ottiene l'88% dei ricavi nei mercati esteri ed è entrata nel "club 100 miliardi" di surplus commerciale. La politica, se vuole, può agire di conseguenza. (Guido Colomba) Copyright 2013