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Minibond, un flop. La paralisi della burocrazia

09/09/2013 12.24.37

             
                                            di Guido Colomba



(The Financial Review n 775) I minibond dovevano essere l'ancora di salvataggio per sfuggire al credit crunch. Ed erano stati pensati come lo strumento finalizzato a irrobustire le Pmi. Invece a distanza di sei mesi vi è stata una sola emissione. Il sistema bancario resta il sovrano assoluto del finanziamento alle imprese. Era stato il governo Monti ad individuare questo nuovo strumento di finanziamento alternativo a quello bancario. Anche il ministro Saccomanni, all'epoca direttore generale Bankitalia, era tra gli estimatori. Purtroppo, i dati patrimoniali delle mini-imprese italiane sono poco attraenti. Gli investitori guardano alla capacità di esportare, ai progetti di crescita, al ritorno (Ebitda) a due cifre dell'investimento. Ecco perché solo le aziende solide con una reputazione internazionale e un brand forte, vengono prese in considerazione dagli "angels" di private equity, dagli hedge fund e dai fondi chiusi. Insomma, la terza via ha ancora un lungo cammino da percorrere. Il credit crunch ha colpito nel frattempo proprio le Pmi con una contrazione in cinque anni di 50 miliardi. In più lo Stato non paga le fatture (ammontano ad oltre 100 miliardi contro appena 11 miliardi effettivamente erogati) mentre il fisco ancora non consente una piena compensazione tra debiti fiscali e crediti verso la P.A. Cosa fare? Non basta guardare all'equity crowd funding autorizzato dalla Consob per trovare soluzioni alternative visti i limiti e le dimensioni del mercato dei capitali italiano. Solo nel lungo periodo si potranno avere effetti apprezzabili. Giuliano Amato ha affrontato sul Sole 24 Ore l'argomento dei debiti e della macchina burocratica dello Stato. E Francesco Giavazzi (Corriere 7 settembre) nel parlare di "burocrazia soffocante" auspica di liberare, entro un triennio, 50 miliardi di spesa pubblica da dedicare al taglio delle tasse sul lavoro per portarle a livello tedesco. Ciò significa sottoporre l'Italia al controllo più che auspicabile di Bruxelles in presenza di un deficit inevitabilmente sopra il 3%. L'alternativa, dice ironicamente Giavazzi, è di non fare niente e sanare il deficit di bilancio con nuovi balzelli fiscali come già prospettato dalla clausola di salvaguardia (anticipo delle imposte dovute il prossimo anno). Intanto la Ragioneria dello Stato continua ad imporre lo stop a qualsiasi innovazione sostenendo che il suo compito è solo quello di "relazionare" senza entrare nel merito della spesa. Una frase allarmante che conferma l'assenza di qualsiasi controllo sulla spesa statale (lo stock del debito ha superato i 2050 miliardi), prassi già denunciata dalla Corte dei Conti. Quanto al costo della politica la Corte ha ricordato che nel 2012 prosperavano ancora 144mila italiani con cariche elettive presso società a controllo pubblico al modico prezzo di 1,91 miliardi di euro naturalmente a carico dei contribuenti. Per non parlare delle 178 "ambasciate" all'estero delle regioni classificate come iniziative promozionali (nel 2005 la regione Lazio ha finanziato la missione spaziale Soyuz che ospitava il cosmonauta viterbese Vittori). Non a caso la spesa delle Regioni dal 2001 è aumentata del 50%. Gli interessi particolari sono difesi da agguerritissime lobby con studi legali ben collegati all'alta burocrazia dello Stato che esercitano un potere di interdizione assoluto. I governi si succedono ma questa supercasta resta padrona. Monti non è riuscito a scalfire questa situazione. Enrico Letta ci sta provando. Ma l'esito è molto incerto. (Guido Colomba) Copyright 2013 - Edizione italiana.



 Fonte: (R.F. Anno 51 ,N°775, 9/9/2013 ore 12:24)


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Caro Guido, nessun investitore di buon senso compera titoli italiani.
Quali le ragioni?
Anzitutto una cultura politica che criminalizza il capitale e l'arricchimento in nome dell'equità.
Poi le scelte di chi ci governa: a) Monti (seguendo in ciò Padoa Schioppa) ha cercato l'equilibrio di bilancio con l'aumento delle tasse e non con il taglio della spesa. La sola uscita tagliata dai nostri governi è infatti quella delle pensioni (nei confronti di una categoria che non si può difendere), mentre la spending review è risultata, come dicevo da anni, un grande bluff. b) L'attuale primo ministro vede risorgere con piacere il cadavere della concertazione. L'intesa Confindustria sindacati si è arrogata per vent'anni il dirirtto di rappresentare le parti sociali, espropriando politicamente il resto del Paese. Questa gestione corporativa ha fatto felici gli interessati ed ha impoverito l'industria italiana, che è precipitata a livelli di produttività fuori dalla competitività internazionale.
Perché dunque investire in un Paese che non valorizza il capitale, è seduto su un'economia assistita, vive di burocrazia e non è in grado di realizzare nessun progetto politico (province, finanziamento pubblico, privatizzazioni, cessioni di immobili, chiusura di tribunali ecc.)?
Cesare