Translate

Ma che cosa vogliono questi americani?



di Alberto Pasolini Zanelli

Ma che cosa vogliono questi americani? Non tanto i loro governanti, che mostrano curiose oscillazioni nella gestione della politica estera, ingiustificate dalla volatilità e contraddittorietà delle crisi, dalla difficoltà di rimanere alla guida di un mondo ex bipolare. Con le conseguenti contorsioni, da un intervento militare Usa dato per imminente nella guerra civile siriana a un compromesso tramite la mediazione russa, da una apertura a trattative con l’Iran entrambi sviluppi contraddittori con rinnovate tensioni proprio con la Russia, accese anchei da “sgarbi” personali come l’asilo a Mosca a un contestatore delle inevitabili degenerazioni dello spionaggio elettronico e culminate per ora in un boicottaggio simbolico delle Olimpiadi invernali di Sochi: gli atleti Usa saranno sul ghiaccio, non ci sarà Obama in tribuna.
Ma le contraddizioni dei governanti sono modesta cosa rispetto a quelle, sempre più imprevedibili, dei governati e delle forze politiche. Accade per perfino che malumore e sfiducia crescano il minimo degli ultimi cinque anni, scendendo al livello del 7 per cento  mentre sfiora il 12 per cento (tenuto anche della Germania) nell’Europa ammanettata all’Austerity. Quasi contemporaneamente arrivano dati confortanti  sull’attività edilizia, proprio quella dal più immediato impatto sulle masse. Ci si aspetta, se non un applauso, almeno un sospiro di sollievo. Invece poche ore dopo arriva la “pagella” di Barack Obama con una sonora bocciatura: il suo indice di approvazione è crollato da un Natale all’altro dal 54 al 43 per cento, la fiducia nell’economia è scesa  dal 50 al 42 per cento. Se fossimo sotto le elezioni sarebbe una miscela fra sirene d’allarme e campane a morto, ma invece manca un anno, la gente potrà cambiare di nuovo idea. Una cosa è certa : i dati non contano oppure, non legge i dati, oppure non ci crede.
Ma non è tutto. Ci sono altre sorprese. In un sistema bipartitico se quelli al governo scivolano giù l’opposizione dovrebbe rimbalzare su. Anzi esultare, fregarsi le mani e vedere premiate la proprie strategie. In America sta accadendo esattamente il contrario: il partito in crisi è quello repubblicano, percorso da sussulti di demoralizzazione, paura, guerra fra le correnti. In questi giorni c’è una sola “centrale” politica in cui la gente ha ancora meno fiducia che nella Casa Bianca ed è la maggioranza repubblicana in Congresso. Questo fenomeno in sé è l’unico ad avere una spiegazione abbastanza razionale: la fine, per ora, del braccio di ferro sul bilancio, che aveva visto i repubblicani in trincea a respingere ogni compromesso, a opporsi ad ogni proposta, a martellare di “no” qualsiasi dibattito, ad essere pronti a paralizzare di nuovo ogni funzione del governo federale pur di non darla vinta a Obama; il tutto seguendo la spinta e agitando la bandiera del Tea Party, la potente e fantasiosa “tenda” dei vari gruppi di estrema destra che in pratica dominano il partito pressappoco dal giorno della prima elezione di Obama nel 2008 e che hanno la loro roccaforte alla Camera.
In tutti questi anni i leader tradizionali del Partito Repubblicano, conservatori ma non ultrà, seguaci della linea di Reagan e dei Bush, si sono quasi sempre piegati ai voleri di coloro che sanno mobilitare gli attivisti e attirare cospicui finanziamenti. Il caso piu’ noto era quello dello speaker della Camera Boehner, che vedeva la necessità di “soluzioni unitarie” ma finiva per accodarsi agli ultrà per un semplice, comprensibile calcolo: acconsentire a un compromesso avrebbe significato per lui perdere il posto. E invece l’ultima prova di forza lo ha visto cambiare campo: non solo ha varato una formula bipartitica che scongiura la paralisi delle istituzioni ma lo ha fatto apertamente denunciando lo sterile estremismo del Tea Party e dei loro alleati, ripudiandoli, dichiarandogli la guerra e portando avanti un argomento apparentemente decisivo: “Se continuiamo a dar retta a voi alle prossime elezioni prendiamo un bagno senza precedenti”. Già si levava il plauso per questo suo gesto coraggioso, già si avviava la macchina di trasformazione del Partito Repubblicano, quando sono arrivati i sondaggi che paiono dire esattamente il contrario delle previsioni e della logica.Che cosa vogliono, allora, gli americani? Le loro contraddittorie tentazioni sono state riassunte di recente dall’Economist in una domanda: Perché sono così arrabbiati? E in una risposta: Corroborata da un paragone inquietante: forse perché “stanno diventando come gli italiani”.