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La crisi italiana vista dagli USA

Alberto Pasolini Zanelli
Barack Obama ha teso la mano al perdente: dall’aereo ha trovato il tempo e il modo di telefonare a Enrico Letta, ricordando di lui e con lui, le occasioni e i tempi non facili degli incontri e delle consultazioni. Si erano trovati bene, Obama aveva promesso a Letta di andare presto “a trovarlo in Toscana”.  Se verrà, troverà un altro toscano a dargli il benvenuto, a Firenze e non a Pisa.
Intanto il presidente Usa ha dimostrato, una volta di più, classe e e cortesia, due qualità di cui nessuno lo trova carente, neppure coloro che in America più sono usi a recitare l’elenco delle sue manchevolezze di leader. Ma il gesto ha anche un significato politico, perché coincide con l’atteggiamento di Washington in questi momenti così difficili per l’Italia in un contesto mondiale e soprattutto europeo. Il governo Usa, a differenza di altri, non è intervenuto nella nostra crisi, non ci ha detto per chi non votare nelle elezioni di un anno fa, non ha suggerito agli eletti, ai leader politici e alle istituzioni nomi e formule di governo, non ci ha né incoraggiato a rotture clamorose a neppure richiamato a rigorose ubbidienza. Ha cercato di far meno danni possibili e, ove possibile, di aiutare con discrezione.
L’America ha cercato di fare, come è giusto, il proprio interesse, che in molti punti coincide con quello dell’Italia, soprattutto nel contesto della crisi in cui l’Europa si dibatte e che è finanziaria e poi economica e che rischia di diventare anche politica. Washington ha riconosciuto fin dall’inizio che rigore e Austerity possono essere stati una medicina amara ma necessaria ma che possono trasformarsi in una gabbia di ferro che provochi anchilosi e altri danni permanenti: per cui, nei momenti di più aspre contrapposizioni ha cercato di incoraggiare con discrezione i Paesi che nell’ambito europeo non ricorrono né ai sassi né alle manette. Massime dunque alla Francia (di Sarkozy o di Holland non importa) e all’Italia, guidata che fosse o sia da Monti o da Berlusconi, da Letta e domani da Renzi.
Anche quest’ultimo è un’incognita, anche per l’estrema mutevolezza della sua strategia, passata in pochi giorni dalla priorità imprescindibile di una nuova legge elettorale a quella di una immediata ed ennesima crisi extraparlamentare. Gli americani a queste cose non sono certo abituati. Aggrotteranno un po’ le ciglia. Ma non ci scomunicheranno. A nessun livello, neppure con sfoghi telefonici del tipo esibito da di recente verso altri Paesi europei in un linguaggio un tempo vietato ai minori di anni 18. L’America, e non solo Obama, sa che l’Italia ha bisogno di aggiornarsi in diverse cose, ma non di terapie choc. Deve correre più in fretta, certo. Ma senza finire fuiori strada.