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Barack Obama in orbita.

Alberto Pasolini Zanelli 
Barack Obama in orbita. È una definizione un po’ azzardata ma descrive l’impressione che si può avere dal programma del suo periplo in corso: pochi giorni, tre continenti e cento problemi, punti di interesse e di frizione in apparenza legati uno all’altro come possono esserlo una visita al Papa, un’occhiata alle forniture del petrolio saudita, un “vertice strategico” con l’Europa a proposito della Crimea e un atto di presenza nei luoghi dove si è perso misteriosamente un aereo malese. C’è dentro di tutto, ma tutte le “orbite” girano attorno a qualcosa e questa è oggi la Russia che si incarna in Vladimir Putin. È colpa del colorito neo zar del Cremlino. La sua “offensiva” in Crimea – che è in realtà una controffensiva nel tentativo di recuperare posizioni e prestigio perdute in Ucraina – sembra mobilitare l’Occidente, spingerlo a una serie di iniziative-castigo, svariate come sostanza, intensità ed entusiasmo. Nessuno si aspetta seriamente, per esempio, che l’intera comunità europea sia intimamente pronta a una vasta operazione sanzionistica e anche gli Stati Uniti, che conducono questa rappresaglia, stanno bene attenti – o almeno lo fa Obama – a non varcare un’indefinita “linea rossa” che separa sanzioni e rabbuffi e dispetti da un confronto militare. Anche perché il mondo reale continua ad essere grande e svariato e quel che pare funzionare in un angolo può portare risultati negativi in altri.
Per esempio in quello che si usa definire “grande Medio Oriente” e che va dalle spiagge del Mediterraneo alle aspre vette afghane. Cominciando da quello che è stato per tre anni (fino all’emergere della piazza di Kiev) e che in realtà tuttora è il punto focale di una riedizione della Guerra Fredda: la Siria. La polemica tra la Casa Bianca e il Cremlino non ha finora avuto ripercussioni a Damasco . Il regime di Assad continua la sua controffensiva militare e politica e la Russia continua a sostenerlo in tutti i modi, militare, economico e diplomatico. I siriani sono grati a Putin per avere inventato quella formula che all’ultimo momento ha evitato un attacco militare Usa: lo smantellamento dei depositi di gas chimici. Sui muri di Damasco si leggono ancora manifesti dal titolo “Grazie Russia”, a Ginevra e in altre sedi si continua a trattare, l’opposizione armata appare sempre più indebolita e certamente è divisa e da Washington non arrivano iniezioni di fiducia.
In casa del vicino accanto, l’Iran, la collaborazione diplomatica tra Mosca e Washington appare addirittura intatta e si nota perfino qualche segno di “distensione” da parte di Teheran e verso Teheran: tutto come prima. Le novità vengono semmai dall’Afghanistan e sono pittoresche, indicative e di segno opposto ai segnali che ci pervengono da Kiev e da Sinferopoli. Da Kabul gli americani se ne stanno andando come previsto. Meno automatico era nelle previsioni che al loro posto stiano ritornando i russi, quelli costretti a sgombrare alla fine degli anni Novanta. Il presidente Karzai, che ormai con gli americani non si saluta più, per il capodanno afghano ha ricevuto un caloroso messaggio di auguri firmato Putin, che parla di “amicizia e collaborazione” fra i due Paesi. Ed è accompagnato dall’intensificazione della penetrazione economica russa: è stato appena firmato un trattato di collaborazione, gli studenti all’università di Kabul riprendono a studiare il russo al posto dell’inglese, i soldati imbracciano di nuovo i kalashnikov. Il nemico, dopotutto, è sempre quello: il fondamentalismo islamico combattuto negli anni Ottanta dall’allora Unione Sovietica, poi dagli Stati Uniti e dai loro alleati con risultati deludenti per entrambi.
Dicono che la Storia non si ripeta mai, ma in questo caso ci si va molto vicini. E infine sullo sfondo è sempre prominente, anche se come al solito in tempi lunghi, il rapporto nucleare fra le due superpotenze rivali del passato, legate oggi da interessi davvero comuni e che le crisi del Mar Nero non intaccano. Continua la cooperazione negli sforzi per tenere i materiali nucleari lontani dalle mani dei terroristi e per tenere bassi gli arsenali nucleari americano e russo. Poche ore fa è arrivata a San Francisco una delegazione militare da Mosca per una delle ispezioni di routine dell’arsenale nucleare Usa ai termini dell’ultimo Trattato Start firmato nel 2010. Cioè fra Obama e Putin. Come se nel frattempo non fosse successo niente.