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Peggio di cosi'

Alberto Pasolini Zanelli
Ultimi sviluppi della “primavera ucraina”: la Russia si annette la Crimea, gli Stati Uniti rompono le relazioni diplomatiche con la Siria e in Lettonia marciano le SS. Le relazioni fra questi eventi possono sembrare vaghe e assurde, ma in certi appuntamenti della storia la logica dominante è quella del surreale. Qualcosa del genere accadde, su scala per ora incomparabilmente maggiore, esattamente cento anni fa, più o meno negli stessi luoghi e si chiamò Grande Guerra, il primo conflitto moderno. Come se gli eventi delle ultime ore facessero parte di una rivisitazione da Museo degli Errori e degli Orrori. Alcuni saranno esaminati, criticati, giustificati in mezzo mondo nei giorni che seguono.
Per ora il record fra le torbide suggestioni è detenuto dallo spettacolino di Riga. Nella capita lettone un paio di migliaia di ottantenni e novantenni, alcuni indossando le uniformi delle Waffen SS, hanno marciato, con passo alquanto meno marziale di allora, per ricordare le battaglie del 1944, al tempo del riflusso militare, della ritirata definitiva delle armate di Hitler e dell’avanzata decisiva di quelle di Stalin. Fra i due mali, molti lettoni scelsero quello che pareva loro il minore e si arruolarono in centomila per combattere i russi con la divisa di chi gli forniva le armi e la divisa. Non gli importava troppo, a quel punto, che la Germania nazista fosse stata corresponsabile della loro consegna alla Russia staliniana nel trattato di “non aggressione” firmato nel 1939.
Non accadde solo nei Paesi baltici ma anche, per esempio e in misura maggiore, in Ucraina, terra che non era parte del “baratto” ma che aveva subito da parte dei “bolscevichi” uno dei più crudeli genocidi del ventesimo secolo che pur ne fu così ricco. Accadde fra il 1932 e il 1933, quando Stalin “perdette la pazienza” nei confronti dei kulaki, i coltivatori diretti ucrarini che si sottraevano agli obblighi della collettivizzazione, fra cui quello di fornire a prezzi stracciati cibo alle città. La “misura antisciopero” fu semplice: i soldati “rossi” circondarono le aree dei kulaki e li fecero morire di fame, a centinaia di migliaia, forse a milioni. Rimase nella loro memoria, quella operazione, sotto la parola ucraina Holodomor, molto simile a Olocausto.
Così quando le armate naziste invasero l’Ucraina i superstiti si schierarono con loro per regolare i conti con i russi. Avevano un leader, Stepan Bandera, si organizzarono come in una divisione delle SS che continuò a combattere anche dopo la fine del Reich, collaborando in tutti i modi a quell’altro Olocausto. Alla caduta dell’Unione Sovietica i nostalgici confluirono in un partito, Svoboda (Libertà) che oggi conta trentasei deputati su 450 al Parlamento di Kiev ed è alleato del partito Patria il cui leader è Julija Timoshenko e da cui proviene l’attuale primo ministro ucraino Arsenij Yatsenjuk. In Lettonia è tutto più tranquillo, lo scontro è per ora verbale, la parata, scortata dalla polizia, ha dato origini soltanto a uno scambio di invettive e lancio di carote tra i pensionati SS e i lettoni di origine russa.
Gli ucraini sono di sangue più caldo e soprattutto sono “circondati”, più o meno affettuosamente, da “tifosi” e autorevoli protettori all’estero. La Guerra Fredda, che si sforza di rinascere proprio nel centenario della Grande Guerra, la più grande e la più stupida nella storia dei conflitti umani, fa finora più strada dove il clima e il “sangue” sono più caldi. Per qualche motivo la crisi nata in Ucraina dimostra affinità singolari con i fenomeni analoghi che, in un contesto ben diverso, vanno sotto il nome di Primavera Araba, fra i governi tentati dalla “mano dura” dei regimi autoritari e opposizioni che alle urne preferiscono la piazza. È una strana malattia che si diffonde e ritrova certe sue radici. In Ucraina si rendono omaggi alla statua di Bandera, in Bosnia, a Sarajevo, si portano fiori a quella di Gavrilo Princip, il “patriota” serbo che uccise un arciduca asburgico e diede inizio al tutto.