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Renzi, dall'estero molti incoraggiamenti

Guido Colomba
C'è un nuovo obiettivo in Occidente: crescita con minori diseguaglianze. Il successo degli Usa sta coinvolgendo anche l'Europa. Ecco perchè, all'estero si guarda al governo Renzi con più attenzione (spread a 177 punti) rispetto all'Italia dove editorialisti e casta politica convergono in una diffidenza quasi rancorosa. Come mai? Partiamo dai fatti. Dopo due anni di politica economica affidata ai "tecnici", l'Italia si trova con un Pil fermo a 1560 miliardi di euro (2155 miliardi di dollari) e un gigantesco debito pubblico salito a 2130 miliardi (136,5% del PIL). Mentre il "credit crunch" si accanisce sempre più su consumi delle famiglie e sulle imprese (centomila chiusure in un anno e fallimenti a +12,9%)). Non a caso Bruxelles ammonisce: "Con un debito così alto e una produttività così bassa, occorrono urgenti riforme per fronteggiare questi squilibri eccessivi". Con l'aggravante che il fabbisogno pubblico è salito anche quest'anno a 12,8 miliardi (febbraio) rispetto a 11,8 miliardi di gennaio tanto che l'Ue chiede un intervento immediato sui conti per 4-5 miliardi. Uno schiaffo agli annunci roboanti del governo di Enrico Letta tanto che Renzi precisa: "Sapevamo che i numeri non erano quelli che Letta raccontava ma siamo gentiluomini e non abbiamo calcato la mano. Adesso bisogna correre".  Intanto l'ex ministro Saccomanni (ex direttore generale Bankitalia) continua a sostenere che "è stato fatto un ottimo lavoro di cui si vedono già i risultati". Il suo successore, Pier Carlo Padoan, anticipa la svolta:"Possiamo riformare l'Italia". In una fitta consultazione con Palazzo Chigi la squadra di Padoan sta delineando i primi interventi di finanza pubblica (5 miliardi di tagli immediati) secondo le priorità annunciate: a) riduzione del cuneo fiscale a favore di imprese e lavoratori (almeno 10 miliardi), b) riforma del mercato del lavoro (i fallimentari centri per l'impiego spendono 14mila euro per ogni posto di lavoro), c) ammortizzatori sociali, d) rimborso di tutti i debiti arretrati (circa 90-100 miliardi al netto di quelli rimborsati nel 2013) della Pubblica amministrazione che da soli valgono l' 1,3% del Pil. In tal caso il rapporto debito/Pil scenderà ai livelli previsti dal "fiscal compact". Il tutto verrà presentato all'inizio di aprile per essere sottoposto, subito dopo, all'Unione europea. La verifica è oramai dietro l'angolo sperando che il governo Renzi sfugga alla trappola giuridica dei decreti attuativi (ben 115 solo per l'ultima legge di stabilità varata dal governo Letta) che paralizzano il Paese da diversi anni con scarsa trasparenza  in tema di finanza pubblica. Non vi è dubbio che l'Italia deve guardare ai Paesi che hanno ammodernato con successo l'amministrazione pubblica e riequilibrato il carico fiscale. Ad esempio, in Irlanda (25,8%), Gran Bretagna (32,3%), Olanda e Danimarca (38,6%) si è riusciti ad abbassare il cuneo ben al di sotto di quello italiano (44,1%). Sempre sul piano fiscale, con l'approvazione della legge delega, è partito il discorso (a suo tempo affrontato da Giavazzi per il governo Monti) delle 720 agevolazioni (tax expenditures). Una partita che vale 90 miliardi. Il testo prevede di sfrondare le "agevolazioni ingiustificate, superate o doppie rispetto ad altre misure". Finora non se ne è fatto nulla. Eppure, Confindustria e Sindacati sono d'accordo. Come si vede vi sono sul tappeto "grandi numeri" che potrebbero davvero cambiare il volto del Paese in termini di occupazione e investimenti. Inoltre l'intesa provvisoria sulla legge elettorale può dare più tempo al Governo da dedicare all'economia e all'occupazione.