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Ucraina: malattia acuta o cronica?



Alberto Pasolini Zanelli
Sono passati giorni, settimane, ormai mesi e la crisi internazionale nata in Ucraina continua ad essere uno dei principali mali del mondo: solo non sappiamo se sia una malattia acuta ovvero cronica. L’unica cosa certa è che siamo lontani da una soluzione, una deduzione probabile è che forse a una soluzione veramente accettabile a tutti non giungeremo mai. Fu questa la logica della Guerra Fredda, di cui le tensioni di oggi non sono in fondo che una micro ripetizione, con gli stessi protagonisti e terreni di scontro molto simili. Con una contraddizione, benvenuta anche se non del tutto rassicurante, tra le parole e i fatti.
Le ultime le ha portate a Kiev il vicepresidente americano Biden, che ha ripetuto quello che il Segretario di Stato Kerry sta sillabando con fatica diuturna ad ogni concepibile occasione: l’America non tollererà ulteriori azioni ostili di Mosca contro l’Ucraina, l’America risponderà ad ogni escalation con una escalation puntuale e di dimensioni maggiori. Putin deve stare attento a non valicare una “linea rossa”, che però non è tracciata sul terreno e probabilmente neppure è tracciabile. Ciò che Kerry esprime nei dettagli e il suo “contradditore” russo, Lavrov, reagisce ed accetta firmando pezzi di carta dal tenore già armistiziale ma nella sostanza indicativo invece di una tensione tuttora crescente.
Questi il linguaggio e le azioni americani. Non è necessario descrivere nei dettagli quelli russi perché sono sostanzialmente identici, benché di senso contrario. Li riassumono i colloqui telefonici e quasi “intimi” fra Putin e Obama. Il tono pubblico è tuttora quello delle minacciate ritorsioni. Il Cremlino ripete che non potrebbe non intervenire se i diritti della minoranza ucraina di lingua (e di sentimenti) russa venissero violati dalle autorità di Kiev. La Casa Bianca minaccia ritorsioni se si ripetessero le violazioni della sovranità ucraina da parte del Cremlino. L’argomento più concreto da parte Usa è quello economico, che non consiste soltanto negli ostacoli minacciati o già frapposti al “dialogo” commerciale e finanziario, ma anche – e questa è una novità, un’arma più efficace che elegante – in sanzioni ad personam contro dei cittadini russi, soprattutto se particolarmente “vicini” a Vladimir Putin.
Il resto è soprattutto contorno, inclusi i movimenti militari, l’invio di rinforzi, aerei, missili in Polonia e nei Paesi Baltici, molto lontani dal terreno del contendere almeno sul piano geografico: un richiamo commemorativo a quello che usava accadere in mezzo secolo di Guerra Fredda. Anche i russi agiscono in modo analogo: “concentrano” truppe alla frontiera ucraina, gli americani e la Nato mettono in allarme le loro ai confini di Paesi come la Lituania o l’Estonia. I due campi si rafforzano invadendo aree, quelle finanziarie, che dovrebbero essere neutrali. Un tipo di mobilitazione che si può ritrovare in due importanti pagine di Storia: il dialogo a ciglio asciutto degli anni in cui la Guerra Fredda cominciava a intiepidirsi e lo scambio frenetico dei giorni che portarono alla Prima Guerra Mondiale, tanto presente nella nostra memoria al compimento di un centenario. L’ultimatum austriaco alla Serbia, quello russo all’Austria (non toccate la Serbia), quello tedesco alla Russia (non toccate l’Austria), quello francese alla Germania (non toccate la Russia), fino alla deflagrazione che concluse il “secolo di pace”.