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UE, come cambiare la governance economica


                                        
 di Guido Colomba

 La riforma dell'Unione europea deve accompagnare le riforme strutturali che il governo Renzi sta approntando. L'una condiziona l'altra. Entrambe, se non realizzate, sono soggette all'euroscetticismo che si sta diffondendo in tutto il continente. L’amministrazione Obama si è convinta che senza un’Europa organizzata, la trattativa per una zona di libero scambio Usa-Ue rischia di partire con il piede sbagliato. Quali le misure auspicate? Al primo posto una nuova "economic governance" che sostituisca l’attuale sistema intergovernativo basato sui rapporti di forza tra i singoli governi. Un sistema Berlino-centrico dove non c'è posto per gli interessi dei cittadini (tantomeno dei giovani). Di qui l’esigenza di portare il Parlamento europeo nell’ambito della "economic governance". Ciò significa che nessuna decisione del Consiglio europeo o dell'Ecofin possa divenire operativa senza l'approvazione del Parlamento europeo. La seconda esigenza è costituita dalla strumentazione finanziaria. Non basta dotare la Bei di un fondo di 100 miliardi (da ripartire tra tutti 18 paesi dell'Eurozona) per finanziare il manifatturiero "con minori diseguaglianze". A maggior ragione con un fondo di soli 10 miliardi. Una indagine di Unioncamere ha accertato che vi sono in Italia circa 40.000 Pmi (piccole imprese definibili "small business" secondo il modello statistico Usa) che sono qualificate per la crescita e/o l'internazionalizzazione ma sono vittime del credit crunch. Purtroppo "non basta, come indica l'Aiaf, creare o potenziare gli strumenti di credito alle imprese". E' più urgente creare un mercato secondario efficiente per gli strumenti di credito non bancari. In primo piano le cartolarizzazioni che la Bce tarda ad accettare come veicolo per finanziare l'economia reale (finora i tre LTRO - pari a poco più di mille miliardi - sono andati alle banche che ne hanno restituiti oltre 600 miliardi). L'esempio americano è indicativo. Secondo la banca dati di S&P solo l'1,5% degli ABS (asset backed securities) in circolazione a metà 2007 risulta fallito a fine 2013. Gli acquisti di Abs da parte della Fed (cioè la presenza di un compratore di ultima istanza) hanno consentito al mercato di svilupparsi e ridare ossigeno all'economia. Quale mercato? Qualche esempio: crediti per acquisto di auto, ipoteche, crediti bancari, crediti al consumo, leasing, flussi di pagamenti di carte di credito e crediti commerciali. Al contrario, in Europa nel 2013, sono stati emessi ABS per soli 180,9 miliardi con un calo del 40% sul 2012 e del 75% sul 2011. Su questo quadro già negativo risultano del tutto assenti le PMI italiane. La nuova normativa introdotta dai governi Monti e Letta sui minibonds non ha finora inciso se non in misura episodica proprio perchè manca il ruolo della Bce come garante di ultima istanza. Per l’Italia non è stato vantaggioso l’aver puntato tutto sui fondi strutturali regionali. I fatti parlano chiaro. Gli enti locali italiani, soffocati dai debiti e dalla cattiva gestione propria, spesso non hanno trovato i mezzi per reperire l’altro 50% del finanziamento (ora questo vincolo è stato ridotto) oppure non hanno avuto una capacità progettuale adeguata, aggravata dai mille lacci e laccioli burocratici. Il risultato è che troppo spesso  “i soldi del finanziamento italiano a Bruxelles” che dovevano tornare indietro (circa l’80%) sono finiti in buona misura a favore di altri Stati membri  più organizzati (es. la Spagna). Ecco perché l’Italia può giocare la carta di uno smobilizzo parziale dei fondi strutturali a favore di una garanzia dell'Eurotower per i minibonds. Questi ultimi infatti avrebbero un effetto moltiplicatorio straordinario (a) liberando le fonti di finanziamento dal ricorso al credito bancario insieme a (b) tempi di realizzazione brevissimi rispetto a quelli legati ai fondi strutturali. Si tratta di liquidità immessa direttamente sul mercato dei consumi e degli investimenti a favore della occupazione. Terzo punto: l’intesa Renzi-Cameron riguarda la spending review. C'è molto da fare su questo punto. Il costo amministrativo delle istituzioni europee è troppo alto e sottrae risorse all'occupazione. Questo deve essere un punto fermo. E' logico continuare così?