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L’ITALIA “SOCIA” DELL’ARTICO


Alberto Pasolini Zanelli
Non è un’alternativa, al massimo una consolazione. Uno sgocciolio di buone notizie per un’Italia economicamente depressa, tormentata dall’Austerity, stiracchiata da due ondate migratorie, quella degli italiani che lasciano la patria e degli africani che vi arrivano alla ricerca di un rifugio. Attraversando nelle più precarie condizioni quel Mediterraneo che un tempo chiamavano Mare Nostrum. Era davvero nostro, era il mare più vecchio, era il centro del mondo. Gli avevamo detto addio da un pezzo. E adesso forse stiamo riscoprendone uno nuovo e, chissà, forse più importante del ventunesimo secolo: l’Artico. Da quasi un anno, da quando il “vertice” dei suoi “utenti”, riunito nella città svedese di Kiruna, ha deciso di ammettere altri sei Paesi, sia pure, per ora, come soci “osservatori. Il vecchio club consisteva nei rivieraschi: Canada, Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia, Russia, Stati Uniti e Svezia. I “nuovi” sono sei, cinque dei quali asiatici: Cina, Giappone, India, Corea, Singapore. Più un solo Paese europeo: l’Italia. Niente Francia, niente Regno Unito, niente Merkel.
Ne affluiscono delle promesse, conseguenze di quel fenomeno meteorologico che si chiama global warming, locale e più concretamente chiamato “disgelo”.  Il ghiaccio, almeno d’estate, svanisce nell’Artico tranne che in un’area appena un quinto di quella del secolo scorso.  Entro un’altra ventina d’anni, si prevede, diventerà possibile attraversare il Polo Nord in canoa. Imbarcazioni più consistenti già lo solcano. Trasportano, ad esempio, minerale di ferro dalla Norvegia a porti nelle vicinanze di Pechino, con l’ausilio di rompighiaccio nucleari russi salpati da Murmansk. Costa infinitamente meno delle rotte tradizionali come il Capo Horn in fondo al Sud America oppure il Mediterraneo, il Canale di Suez e l’Oceano Indiano, dove oltretutto ci sono i pirati. Un miliardario cinese, ex alto funzionario del Partito Comunista, si prepara a costruire un albergo di lusso e un campo di golf ecologico a Grimsstadir, in Islanda. Non tutti sono convinti che il suo interesse sia unicamente estetico. Esso aiuta comunque Pechino a dichiarare quelle isole lassù “contigue” alla Cina e dunque parte di una “fraternità artica”. Per esempio con lo sfruttamento di risorse minerarie in Groenlandia, che coinvolgono in qualche modo l’uranio.
Nessuno di questi dati risponde a una domanda: perché l’unico nuovo “socio” europeo sia l’Italia. Di spiegazioni ce ne sono finora due. La prima è semplice ma almeno un pochino anche machiavellica: i negoziati fra l’Unione Europa e il Consiglio Artico furono condotti principalmente da Antonio Tajani. La seconda riscalda antiche memorie: l’audace e drammatica impresa di 86 anni fa del dirigibile pilotato da Umberto Nobile. Una cosa è certa: quello che era l’Impero del Ghiaccio si sta sciogliendo rapidamente. Quello che era un ostacolo diventa una via. In luoghi forse dimenticati da Dio ma certamente da noi come la Groenlandia, fioriscono i traffici, sorgono uffici, edifici e città, arrivano sempre più spesso gli ospiti che hanno nel carnet quello che siamo abituati a chiamare frigorifero del mondo. Vanno a vederlo morire. Non è il solo palcoscenico del global warming ma ne è assurto a simbolo. Vanno a vedere gli iceberg che si sgretolano, le distese di ghiaccio che diventano acqua, le montagne di tremila metri che smettono di essere bianche. La penultima volta che qualcuno “scoprì” la Groenlandia le sue emozioni furono riassunte in una saga vichinga messa in bocca a Leif Erikson, l’esploratore: egli racconta di avere, assieme ai suoi compagni, “riempite le mani di erba stillante rugiada, di averla assaggiata e di non aver mai mangiato niente di così delizioso, sotto una luce insostenibile che infiammava i ghiacciai. Potevamo vedere la piu grande isola del mondo, una montagna formidabile e azzurra che riposa sulla terra grande e verde”. Mancavano quattordici anni all’Anno Mille, poco più dunque di mille anni fa. L’avventura vichinga durò tre secoli e non ci furono sopravvissuti. Per il millennio successivo l’Oceano Artico fu coperto per dodici mesi all’anno dal ghiaccio, ostacolo insormontabile. Copriva quindici milioni di chilometri quadrati, quasi quanto l’intera Russia. Un esploratore, Jacques Cartier, definì quelle contrade “la terra che Dio ha voluto regalare a Caino”. Che, forse, però ora restituisce.
pasolini.zanelli@gmail.com