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Basta con i decreti attuativi





Guido Colomba

Ci sono voluti due anni per rendere esecutiva "una misura urgente" varata dal governo Monti nel giugno 2012 con il famoso decreto legge "sviluppo" (tra le altre cose prevedeva un credito d'imposta per le assunzioni finalizzate alla ricerca). E' questa la palude, cosparsa di "mandarini" di Stato, che blocca il Paese. Il governo di Matteo Renzi ha più volte denunciato questo problema tanto che intende dare spazio a leggi "autoattuative" per evitare i veti incrociati della burocrazia ministeriale. Nel frattempo, anche nel governo Renzi, gli staff members (Ragioneria dello Stato in primis) sono riusciti a frenare i nuovi provvedimenti: solo 15 su 40 hanno superato l'ostacolo dei decreti attuativi. In totale, sono più di 450 i decreti attuativi (relativi agli ultimi tre governi) che sono ancora in lista di attesa. Ecco perchè non ha molto senso parlare di "riforme strutturali" che dovrebbero salvare il Paese dal default del debito sovrano se non si supera questo ostacolo. Anche la polemica tra Matteo Renzi e la Commissione europea va riportata alla sua giusta dimensione. Non è un problema di "cessioni di sovranità" ma di "lacci e laccioli"di natura interna che richiedono tempo. Ed è giusto lo stop di Renzi alla sottostante proposta della Merkel per accordi bilaterali (cessioni di sovranità) tra Ue e singoli Stati. Nè l'Unione europea può chiedere manovre correttive (si parla di sette miliardi da includere nel Def) che aggraverebbero la deflazione in atto come riflesso della settennale crisi economica. Del tutto incomprensibile l'intervento di Mario Draghi, presidente della Bce, quando giovedì scorso ha sollecitato le riforme strutturali come volano della crescita, criticando implicitamente i Paesi "ritardatari" Francia e Italia. Nel frattempo gli aiuti alle Pmi continuano ad essere assenti. Più che opportuno il commento dell'economista Jean Paul Fitoussi: "Draghi è un civil servant, non può interferire con le scelte di un Paese". Ed ha aggiunto:" La crisi è colpa della austerity imposta dai tedeschi e il braccio di ferro continua". Purtroppo, fin dagli anni '90, la Banca d'Italia ha vissuto nel duplice sogno di imitare il modello bancario tedesco e la finanza anglo-americana basata sui derivati come strumento principe per la copertura dei rischi finanziari. Sappiamo tutti come è andata. Solo poche settimane fa si è appreso che, per il solo 2013, l'Italia ha pagato 3,4 miliardi di euro per interessi su contratti derivati a copertura del proprio debito sovrano. In tema di sprechi, questo sembra un piccolo record se pensiamo che l'Imu costa in tutto 4,5 miliardi. Ciò spiega perchè Matteo Renzi si porta appresso ogni sera sul comodino un librone che contiene i dati della finanza pubblica. Ad esempio, la cifra per interessi pagata sul debito dello Stato (2166 miliardi a fine maggio) solo per 52 miliardi su 84 riguarda i titoli di Stato in circolazione. Il resto è una sorta di "buco nero" che contiene i più svariati "salvataggi" di Stato. Su queste colonne abbiamo invocato più volte (finora senza esito) la pubblicazione dei dati disaggregati. Infine, la spending review. Per il 2015 il Def prevede una contrazione di 15 miliardi di euro. Le due possibili strade, tasse o riduzioni di spesa, entrambe hanno effetto recessivo. Ma la strada fiscale è stata già intrapresa ed è ai massimi dell'intero Occidente. Ora è il momento della "spending review" per liberare risorse o per ridurre il debito dello Stato. Il divario tra consumi e reddito dichiarato (oltre 600 miliardi) è una strada da seguire. Gli scandali all'interno di Equitalia (e d'intorni) spiegano perchè è stato recuperato così poco (3-4% effettivo) nel decennio tanto da considerare l'arretrato quasi del tutto perduto con effetti devastanti sui bilanci degli Enti locali. Un fallimento totale a danno di quei cittadini onesti che le tasse le hanno sempre pagate. 
Guido Colomba 
guido.colomba@alice.it