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Dall’Alpi alle Piramidi. Anzi, dal Baltico all’Oceano Indiano.



Alberto Pasolini Zanelli
Dall’Alpi alle Piramidi. Anzi, dal Baltico all’Oceano Indiano. La geografia è quella, soprattutto come dimensioni. Ma il Napoleone cantato da Manzoni almeno le guerre le faceva una per volta, ciascuna in un pezzo diverso di mondo. A Barack Obama e agli altri statisti dell’Occidente questa comodità non è concessa. I tagliagola al servizio del Califfo hanno appena annunciato, vantandosene, il loro nuovo delitto e il presidente degli Stati Uniti è sbarcato a Tallin per consultazioni e incoraggiamenti all’Estonia e ai suoi vicini a proposito delle possibili minacce russe. Di lassù si sta spostando a Cardiff, nel Galles, per un vertice della Nato con due crisi sul tavolo: quella in Ucraina e quella del mondo islamico. E aerei americani hanno appena attaccato basi jihadiste in Somalia. Già erano in corso sette guerre contemporanee, ora il numero minaccia di estendersi ulteriormente a un ritmo quotidiano. Parole, coltelli, missili. È già difficile gestire una simile varietà di crisi soprattutto quando, come in questo caso, le strategie, l’identità degli avversari sono così differenti da essere addirittura contrastanti. Sul tavolo degli statisti euroatlantici c’è un menu tanto vario da apparire indigesto. Nelle due aree di crisi del pianeta, accadono cose completamente diverse, che riguardano entrambe contromisure politiche, economiche e militari. A Tallin si è cominciato dalla meno urgente ma non per questo meno profonda: la sospettata “minaccia russa”, rivelatasi in Ucraina ma estesa nelle previsioni a tutte le Repubbliche ex sovietiche e dai satelliti della defunta Urss. Un “fronte orientale” disegnato sulle carte ingiallite della Guerra Fredda. Solo con i confini spostati verso Oriente, il che dovrebbe confermare e ricordare che a vincerla è stato l’Occidente, senza operazioni belliche, una specie di miracolo siglato da Mikhail Gorbaciov e da Ronald Reagan.
È passato un quarto di secolo e si ritorna a parlare di “diplomazia coercitiva”, che parte da sanzioni economiche e finanziarie ma che si pensa richieda misure militari più o meno simboliche per confermarne la serietà. L’alleanza atlantica dovrebbe allestire una “forza di reazione rapida” che sia pronta a dispiegarsi sul terreno in quarantotto ore. Le difficoltà sono profonde e multiple. Sul piano militare e “istituzionale”. La Nato è sorta come alleanza preventiva, ma oggi non ne sarebbe più in grado: gran parte dell’apparato bellico Usa è tornato a casa, perché la guerra è finita e perché la situazione finanziaria non consentirebbe una continuazione di una tale spesa. Ne sono rimasti ottomila di soldati americani in Europa e i Paesi alleati non sarebbero oggi in grado di sostituirli se la Russia di Putin avesse intenzioni aggressive o reagisse con le armi all’attacco economico-finanziario-commerciale di cui è fatta bersaglio come castigo per le violazioni della sovranità ucraina. In realtà, però, nemmeno Mosca è in grado di dare il via a un conflitto, anche nella sua prospettiva che è molto più regionale di quella dell’Occidente.
Resta il fatto che la fase “postbellica” da quell’8 dicembre 1991 in cui l’Urss cessò di esistere ha preso una piega diversa da previsto, già per motivi geografici. L’area Nato si è spostata a Oriente, il terreno controllato da Mosca si è ristretto ma è venuta a mancare quella “zona grigia” o “terra di nessuno” che avrebbe dovuto fare da cuscinetto. Un disagio per ambo le parti: le idee sono confuse e i mezzi comunque limitati, a conferma di una massima venuta di moda proprio all’inizio del secolo: “Le guerre sono tutte inutili, perché creano più problemi di quelli che sono chiamati a risolvere”. Ma le necessità e le ambizioni delle grandi potenze e dell’unica Superpotenza restano e gli interessi si divaricano. Al mondo bipolare potrebbe succederne uno monopolare oppure uno multipolare. L’America preferisce il primo, la Russia ovviamente si accontenterebbe del secondo. La crisi ucraina è figlia di un reciproco processo alle intenzioni: Putin teme che le varie Ucraine dell’Europa Orientale si incorporino nella Nato, i loro governi arrivano ad indossare un mantello americano, Obama vorrebbe un futuro di pace o almeno di distensione ma è soggetto a forti pressioni a Washington e quindi reagisce, un giorno sì e un giorno no, come avrebbe fatto Bush, il che induce il Cremlino a raddoppiare le proprie ansie e le proprie sfide. Che si coagulano finora sull’economia. Le sanzioni contro la Russia sono o saranno efficaci, ma con un’incognita: l’atteggiamento della Cina, che ha già dato segno di volersi schierare col più debole fra i contendenti. Memore anche di averlo fatto a favore degli Usa nei decenni in cui la partita era fra Washington e Mosca. La Russia ha dei debiti, la Cina tanti crediti. E non ha gran che da preoccuparsi delle truci follie di quello che chiamiamo Grande Medio Oriente.