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Guerre valutarie, fallisce il modello renano


di Guido Colomba    

La risposta di Obama è stata immediata. Se la Svizzera ha deciso di avviare una guerra valutaria del tutto inopportuna, la Casa bianca risponde con un maxi sgravio fiscale a favore della middle class (integrato da borse di studio universitarie) maggiorando la tassazione ai più ricchi. Peccato che l'Europa non sia partecipe di questa svolta. Occorrerebbe tornare al programma Fulbright (borse di studio) e ad un gigantesco Marshall Plan multilaterale. Proprio nel pieno della crisi deflattiva europea, il problema delle diseguaglianze è giunto ad un punto critico: i grandi patrimoni hanno guadagnato l'8,6% mentre la borghesia si è impoverita (-4,2%). Una crisi determinata da un ventennio di finanza speculativa favorita dai governi occidentali. Altro che modello renano. Basti pensare che il Tesoro italiano ha sottoscritto contratti derivati per 161 miliardi di euro (valore nozionale) e da alcuni anni registra perdite ingiustificate (3 mld nel 2014) tanto che il prof. Paolo Savona ha chiesto l'abolizione di questi strumenti speculativi ricordando che "qualsiasi regolamento verrà aggirato dai mercati". Al tempo stesso il Tesoro ha permesso agli enti locali di sottoscrivere contratti derivati che, come riferisce il bollettino della Banca d'Italia, registrano una perdita potenziale (cioè ai prezzi correnti) di oltre 34,4 miliardi di euro. Giovedì prossimo vi è un doppio appuntamento: la Bce dovrà decidere sul Quantitative Easing (si parla di almeno 500 miliardi) mentre, a Firenze, Angela Merkel è ospite di Renzi. Quest'ultimo dovrebbe ricordare al Cancelliere tedesco che il "six pack" (lo stesso che impone di tenere sotto controllo il debito) vieta di avere un surplus superiore al 6% del Pil per tre anni di seguito. Una regola non rispettata da otto anni dalla Germania (oltre 200 miliardi di euro di surplus nel solo 2014) che ha così impedito una ripresa della domanda interna e un riequilibrio dei conti tra i paesi dell'eurozona. La deflazione ha origini ben precise (domanda interna più debole, occupazione e redditi più bassi). Eppure, la Germania, dopo aver tentato la via degli "accordi contrattuali" che implicava cessioni "gratuite" di sovranità, si ostina a cavillare contro Draghi per evitare l'assunzione di rischi nella creazione di base monetaria (si parla di un compromesso nel quale i rischi verrebbero divisi a metà tra Bce e le 18 banche centrali). Per misurare l'impatto della ostinazione tedesca, è bene ricordare che la Bce è l'unica banca centrale ad avere addirittura ridotto il proprio bilancio tanto da essere scesa (era a 3102 miliardi di euro al 29 giugno 2012) di mille miliardi cioè quasi ai livelli della Banca del Giappone. Nello stesso periodo la Fed, negli ultimi cinque anni, ha incrementato dell'80% i propri asset. Non basta. L'unica manovra congiunturale a favore dell'Europa proviene dalla stessa Fed che, dal giugno scorso, sta salvando l'euro consentendo un apprezzamento del dollaro di circa il 15% a tutto favore delle esportazioni Ue. Nel frattempo vi sono 1200 miliardi di bond europei a tasso zero. Ecco perché la crisi del petrolio ha sicuramente preso in contropiede il governo tedesco. Vi sarà un impatto positivo sul Pil italiano (+0,6% secondo uno studio Mediobanca) mentre in Germania l'effetto deflazione sarà pari al -1,1%. Negli ultimi tempi la Svizzera è stata costretta dagli Stati Uniti a cancellare o ridimensionare il segreto bancario. Non a caso l'Italia giunge quasi ultima nell'ottenere una "voluntary disclosure" dai confini tuttora incerti. I guadagni derivanti dal "superfranco"sembrano fatti apposta per annacquarne i risultati. Ma scatenare guerre valutarie è sempre risultato un calcolo errato tanto che il premio nobel Paul Krugman si è affrettato a dire che "è sbagliato reagire con il panico alla deflazione".