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Obama e la parabola europea


President Barack Obama toasts with a beer prior to the G-7 summit in Germany. (Markus Schreiber/AP)

Guido Colomba

Obama ha ottenuto al G7 un risultato decisivo costringendo Angela Merkel ad abbracciare due opzioni: (1) il salvataggio dell'euro è legato al proseguimento delle sanzioni alla Russia per la vicenda ucraina; (2) l'austerity di Berlino è giunta al capolinea tanto da necessitare un nuovo policy-making con una vera gestione bancaria unificata (con la supervisione del Parlamento europeo) e politiche fiscali coordinate come ha già richiesto Mario Draghi, presidente della Bce. Con il codicillo di evitare, dopo quattro mesi di inutili discussioni, l'uscita della Grecia dall'euro chiamata a fare "scelte difficili". Quale influenza avrà tutto ciò sulla politica estera italiana (del tutto marginalizzata in occasione del G7)? La cosa più atipica è il comportamento della classe politica che, in barba alla geopolitica, sembra vivere un mondo del tutto a parte. Mentre Papa Francesco ricorda una volta di più che "il mondo vive un clima di guerra", il dibattito politico interno è purtroppo dominato da due argomenti: gli sbarchi dei migranti e la corruzione interna che riguarda anche la gestione stessa dei rifugiati. Questi ultimi per ottenere tale riconoscimento debbono aspettare in media più di dieci mesi, generando costi di gestione giganteschi che talora alimentano la corruzione. Il voto delle regionali va letto in questi termini. Un effetto di saturazione e disgusto (crescente astensionismo). Fa impressione vedere in questi giorni, gruppi di giovani eritrei, ospitati in alberghi di piccoli paesi dell'entroterra siculo e costretti a non far nulla di nulla. Non c'è dialogo operativo tra il ministero degli Interni e gli enti locali tanto da far scrivere a Sergio Rizzo (re:Corriere della Sera 8/6/15) che "la crisi delle regioni é profonda e per certi versi irreversibile". La riforma costituzionale, sottolinea Rizzo, così come è stata proposta non risolve questo problema che è alla base del crescente deficit pubblico (superiore ai 2184 miliardi di euro) e della conseguente abnorme pressione fiscale (tax rate effettiva). In questi anni di crisi economica prolungata è emerso ancora di più il fallimento del decentramento regionale caratterizzato dalla finanza allegra e la totale assenza di controlli credibili che hanno coinvolto le massime istituzioni. Sta di fatto che al G7, come ai precedenti vertici europei, nonostante gli apprezzati sforzi per controllare la finanza pubblica, si è via via affievolita la voce dell'Italia. Ne fa fede la mancata soluzione della "bad bank" tuttora respinta dalla burocrazia della Commissione europea perchè sospettata di nascondere i proibiti "aiuti di Stato". Questa situazione condiziona il successo in Italia del "quantitative easing"varato nel marzo scorso dalla Bce. All'economia reale è finora affluita ben poca liquidità proprio perchè i 190 miliardi di "bad loans" paralizzano le banche italiane specie con l'imminente arrivo di nuovi regolamenti creditizi ancora più severi. Eppure, per sapere lo stato patrimoniale di una banca, è sufficiente fare il rapporto tra i crediti lordi deteriorati e la somma del patrimonio tangibile e di quello accantonato. Un argomento che il governatore della Banca d'Italia, Visco, avrebbe dovuto approfondire specie alla luce delle reiterate dichiarazioni, dopo il crack di Lehman Brothers, sulla "solidità" delle banche italiane. Chi paga per la miopia di politica economica fatta da queste "prestigiose istituzioni"? Di pari passo continua la scellerata discussione tra gli economisti sulla presunta insufficiente "dimensione" delle aziende italiane. Ne ha fatto cenno il governatore Visco dimenticando che in un mondo di start up, di venture capital e crowd funding, sono proprio le piccole e medie aziende a garantire il 78% delle esportazioni che collocano l'Italia tra i primi dieci paesi nel mondo e al secondo posto in Europa.