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Braccio di ferro USA - Germania


Guido Colomba
 
Il referendum greco del 5 luglio implicava che il resto dell'eurozona avrebbe dato semaforo verde al terzo salvataggio alle condizioni dettate da Atene. In realtà, come ha evidenziato il FMI nelle tre pagine inviate al cancelliere tedesco, la Grecia è in bancarotta. Ed è questo il motivo che ha indotto Tsipras ad accettare l'ultimatum dell'eurogruppo. Il "si" del parlamento greco ha sancito solo un risultato formale, visto che il fondo di privatizzazioni di cinquanta miliardi di euro a garanzia del "pacchetto" di salvataggio di 83-85 miliardi è del tutto irrealistico. Per due motivi: da un lato, il livello di corruzione e clientelismo è duro a morire (i precedenti governi hanno totalizzato solo due miliardi di privatizzazioni in cinque anni; dall'altro, lo stesso partito Syriza è contrario alle privatizzazioni. Dunque, il traguardo dei 50 miliardi è molto lontano. E ciò rende quasi un miraggio la restituzione delle future rate di debito. Ora il problema si trasferisce alla riforma della "governance" europea. All'inizio della crisi la Grecia aveva un deficit di bilancio pari al 10% del Pil ma il settore privato si rifiutò di aiutare il Paese. In merito è bene ricordare che, nel 2012, i creditori privati hanno subito una forte riduzione del valore nominale dei titoli di stato.  Nè serve a molto ricordare che le banche tedesche e francesi hanno avuto il loro tornaconto nell'incoraggiare la politica del debito perseguita dai governi greci. Peraltro, proprio il trattato istitutivo della moneta unica prevede la clausola di "no bail out" per rassicurare i contribuenti europei che non avrebbero mai dovuto pagare i conti di altri Paesi. Ma i burocrati di Bruxelles, sotto la regia monolitica di Berlino, hanno poi introdotto con il "fiscal compact" una camicia di forza a tal punto che gli investimenti nazionali rientrano nel vincolo del 3%. Uscire da questo folle vincolo è uno dei punti più volte reclamati da Renzi per reintrodurre in Europa una politica di crescita e di sviluppo con evidenti riflessi positivi sulla occupazione. Senza una nuova "governance" è difficile fare un salto di qualità per evitare il ripetersi delle crisi in termini di politica fiscale. Quando Draghi invoca ulteriori passaggi di sovranità dai paesi membri alle istituzioni UE si trova dinnanzi a scelte politiche che spettano ai governi (e parlamenti) nazionali. Di certo, otto anni di crisi e di basso sviluppo hanno reso incandescente il malumore dei cittadini europei. Il Bundestag è riunito in seduta straordinaria per approvare la soluzione greca mentre il direttore del Fmi, Lagarde, ha ripetuto anche oggi che occorre ristrutturare il debito greco. Fed e Casa Bianca hanno aumentato la pressione contro la politica tedesca. Dunque, il contrasto Usa-Germania è molto peggiorato. Dopo così tanti errori (denunciati da Krugman e Stiglitz) sotto la lente di ingrandimento è la "legacy" di Angela Merkel.