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Grecia: Quo Vadis?



Alberto Pasolini Zanelli
Non è stata, dopotutto, una corsa sul filo di lana. I pronostici più o meno ufficiosi erano per il “sì”, i sondaggi dicevano “no”. Il governo, che formalmente aveva indetto il referendum in Grecia sull’Europa, aveva fatto propaganda per il “no”, i poteri forti europei si erano battuti per il “sì”, con l’aiuto di quasi tutti i governi dei Paesi membri: cauto e gentile quello dell’Italia, ultimativi i toni dalla Germania, non solo dai “merkeliani” ma anche da esponenti socialdemocratici come Martin Schulz, presidente del Parlamento europeo; equilibrato, diplomatico e nella forma esemplare quello francese. Tutti nella previsione di un testa a testa, preparandoci a questo anche per la coincidenza di una bizzarria linguistica per cui “sì” in greco si dice “nai” e “oxi” che suona quasi come “sì”, significa invece “no”. Ma il testa a testa non c’è stato. Si è allontanato a mano a mano che affluivano, di rinforzo agli exit poll, i risultati veri che vedevano il “no” in testa in quasi tutte le contrade elleniche dai nomi millenari.
No, allora, come aveva chiesto e calcolato Tsipras con una delle sue tante giocate ad altissimo rischio. Ha avuto quello che gli serve immediatamente, cioè un voto di fiducia abbastanza largo, che esclude la possibilità di sue dimissioni. Se l’Europa avrà ancora voglia di trattare dovrà farlo con lui, non con i partner prediletti e di maggior competenza finanziaria ma ancora una volta sconfessati dalla gente. Da un popolo che non si è lasciato convincere ad esaminare e dunque a vivere il suo dramma in termini “oggettivi” e asettici. Che ha prestato più attenzione a risonanti e non “maneggiabili” eventi come una disoccupazione avviata al 50 per cento e il taglio brutale delle pensioni e non alle “finezze” del regolamento dei conti secondo formule “moderne ed europee”, sempre più estranee all’uomo della strada, perfettamente in regola con il “patto di stabilità”. Forse hanno ragione coloro che, pensando in “grande” e lontano, considerano il referendum ellenico una “sconfitta per l’Europa” e allineano delle cifre, anzi cifre sempre nuove, per dimostrarlo.
Ma quello che più mette a disagio i tanti onesti cittadini d’Europa che pensano al futuro è il dissidio che si è rivelato una volta di più e anzi approfondito fra questi progetti e le regole e gli usi della democrazia. Già un paio di volte i “poteri forti” hanno operato per scongiurare il pericolo che degli accordi cesellati da degli specialisti (gente che sa fare i conti e, nel linguaggio montiano, “i compiti”) venissero presentati al giudizio di uomini e donne della strada in base ai costumi e ai dettami fondamentali della democrazia. Ci sono anche riusciti a mantenere al potere ad Atene governi “moderati e ragionevoli”.
La loro serie di vittorie si è però rotta pochi mesi fa con la vittoria alle elezioni parlamentari del partito di Tsipras e, dentro il Parlamento, con la disponibilità di formazioni politiche tutt’altro che di sinistra ad allearsi con il “rosso”. Con il referendum di ieri la sua risicata maggioranza relativa si è trasformata, di fronte a una scelta nuda e senza “viottoli”, in una maggioranza assoluta con un sapore di plebiscito.
Tutto adesso diventa più difficile. Angela Merkel aveva detto alla vigilia che Tsipras “sta portando il Paese a sbattere contro un muro”. E, inevitabilmente coerente, lo ha ripetuto anche dopo il risultato. Nelle stesse ore Matteo Renzi ha osservato che “la Grecia non può finire così”, anche se ha di nuovo invitato il governo di Atene a portare avanti delle riforme che gli elettori hanno rifiutato. Hanno tenuto conto di quello che è accaduto nell’ultimo quinquennio, delle realtà che si vedono e si sentono, in forma ancora più “gridata” e dolorosa adesso che le banche non si limitano più a negare i prestiti ma sono addirittura chiuse e che la “riforma delle pensioni” per i pensionati significa solo ulteriori strette di cinghia.
Da oggi tutti gli occhi saranno di nuovo sulla Banca Centrale Europea, che esaminerà ancora una volta la sua “linea di liquidità di emergenza”, al fine di tenerle in qualche modo a galla. La Bce potrebbe “congelarla” o “tagliarle” del tutto. A decidere sarà forse l’incombente default sulle obbligazioni che dovrebbe scadere il 20 luglio. Un accordo con il governo Tsipras è ancora più arduo: lo avevano previsto giusto i profeti di sventura. Ciò non toglie che, come ha detto il ministro dell’Economia francese Macron, “in qualunque modo vada il referendum, dobbiamo rispondergli con una discussione politica, cominciando da domani”.
Pasolini.zanelli@gmail.com