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Stato Islamico e Califfato. Dimensione regionale e proiezione globale.



 
    Francesco Aloisi de Larderel

     A poco più di un anno dalla proclamazione del “Califfato” (29 giugno 2014) può essere utile passare in rassegna le caratteristiche di questo nuovo “avatar” di un’antica istituzione del mondo islamico, partendo dal movimento politico che le ha dato i natali, e cioè dallo Stato Islamico.

1) Ad un primo livello, lo Stato Islamico[1] è un movimento dell’Islam politico che si propone la difesa delle popolazioni sunnite in Iraq ed in Siria, soggette in entrambi i Paesi ad accentuata repressione da parte di Governi a guida shiita. Di conseguenza l’affermazione iniziale dell’IS ha potuto godere di un pregiudizio favorevole da larga parte delle locali popolazioni sunnite, che ancora probabilmente in parte sussiste.
A differenza degli altri movimenti dell’Islam politico jihadista, lo Stato Islamico esercita il controllo dei territori interessati. Gestisce oggi un’area di una superficie paragonabile a quella dell’Italia o del Regno Unito (anche se in parte deserta), con una popolazione circa 7/8 milioni di abitanti, nel quale assicura – secondo i proprî criteri ideologici - una serie di funzioni normalmente riservate all’autorità statale (scuole, sanità, energia, trasporti…, ma anche forme di giustizia e di imposizione fiscale).
Poco si conosce della sua effettiva dirigenza e organizzazione anche perché, essendo sottoposto ad una forte pressione anti terroristica – mantiene la stessa segretezza operativa che caratterizzava le sue precedenti fasi di organizzazione clandestina.
Esiste in particolare molta incertezza sul totale dei quadri politici e militari di cui dispone, anche perché la loro composizione è molto articolata (amministratori, tecnici, battaglioni combattenti, combattenti stranieri, forze di sicurezza/Mukhabarat, ecc…) e quindi essi possono essere contati in vari modi. Le stime oscillano infatti tra le 30.000 e le 200.000 unità.
Oltre a rimanere certamente un movimento terrorista, l’IS gestisce anche operazioni militari di tipo classico (d’altronde con materiale pesante di origine statunitense sottratto all’esercito iracheno).
La presenza nei quadri dell’IS di un numero importante di ufficiali dell’ottimo esercito di Saddam Hussein, ed in particolare dei servizi segreti[2], spiega la rapidità e l’efficienza della sua conquista di parte della Siria nord orientale e delle provincie sunnite in Iraq.
Non è chiaro se questi ufficiali dell’esercito baathista iracheno rappresentino solamente il braccio armato dell’ISIS, o quanto ne siano stati i veri creatori, come sostiene ad esempio una recente inchiesta di Der Spiegel[3]. In questo caso l’autoproclamato Califfo, Abu Bakr el Baghdadi, sarebbe solamente una figura di copertura, utile ad una legittimazione sul piano religioso (anche perché appartiene alla tribù dei Qureshi, uno dei requisiti per rivestire il Califfato). Ma a questo punto la questione ha solamente un interesse storico.

2) Non sfugge che l’affermazione in larghe parti della Siria e dell’Iraq dello Stato Islamico costituisca un pregiudizio per l’esercizio dell’influenza dell’Iran in quell’area, e quindi un vantaggio per l’Arabia Saudita e per le Monarchie del Golfo che questa influenza combattono.
       E’ quindi probabile che, nella fase ambigua del ritiro delle truppe americane dall’Iraq e della sua nascita e distacco dalla preesistente al Qaeda, l’IS possa aver contato su appoggi finanziari e di altra natura appunto dall’Arabia Saudita e da altri membri del CCG, per via diretta o indiretta. In diversi momenti ha anche beneficiato - sul piano puramente tattico - di una connivenza delle autorità siriane e turche.
       Questa fase - essenziale per l’affermarsi dell’IS - è probabilmente oggi superata (salvo prova contraria!) dato che, come vedremo, la più recente proclamazione del “Califfato” rappresenta una minaccia anche per le autorità sunnite della regione. Uno dei tanti esempi di eterogenesi dei fini di cui si è testimoni nell’odierno scenario mediorientale.
Comunque, ora che ha consolidato il suo potere nelle vaste aree conquistate, lo Stato Islamico sembra essersi procurato gli strumenti per un importante autofinanziamento (confisca degli averi delle banche locali, esportazioni clandestine di petrolio e di opere d’arte, tassazione delle popolazioni locali, riscatti di ostaggi, ecc…), tanto da non dipendere più da padrini esterni.

3) Dal punto di vista dell’Islam politico, l’ISIS adotta una versione jihadista del salafismo che presenta alcune caratteristiche distintive:
- Considera “takfiri”, cioè apostati, non solamente coloro che deviano dalla fede o non l‘accettano, ma anche coloro che ne violano i precetti (quindi non solo i miscredenti, ma anche i peccatori). Una definizione molto più estrema di quelle adottate da tutti gli altri movimenti islamisti, compresa al Qaeda. Ed i “takfiri” possono essere uccisi, ciò che nello Stato Islamico avviene ogni giorno.
- E’ anche una linea “escatologica”, che interpreta la lotta politica come resa dei conti con il mondo degli “infedeli” in funzione di una prossima fine dei tempi, nella quale il Califfato avrà il ruolo di protagonista[4].
- Infine propugna una interpretazione delle scritture che ritorna ai primi e più violenti giorni della vicenda bellica di Maometto. Tale interpretazione finisce per legittimare i peggiori istinti della psicologia umana (volendo, le decapitazioni, crocifissioni, lapidazioni, crudeltà indicibili, schiavitù, disprezzo della dignità dei nemici, distruzione dell’eredità culturale non islamica, ecc…, possono trovare giustificazione nel Corano). E’ sorprendente come un movimento di dichiarata ispirazione religiosa finisca per rassomigliare molto ad una forma di nichilismo, almeno rispetto ai valori ed alla cultura occidentali.
       La violenza di tali comportamenti – oltre a costituire una affermazione di principio - è comunque funzionale sia a terrorizzare il nemico che e a mantenere il controllo sulle popolazioni dei territori controllati. Facilita comunque il reclutamento di determinati tipi di persone, in loco e da Paesi terzi.
       Non è dato sapere quanto siano sincere le convinzioni religiose della dirigenza dell’IS (di cui si sa pochissimo). Sta di fatto che le migliaia di membri dello Stato Islamico mantengono queste convinzioni con coerenza, e con coerenza le praticano, in molti casi usque ad cadaver. Ciò costituisce un dato politico concreto.

4) Su di un altro livello, con la proclamazione di un “Califfato” lo Stato Islamico mira a superare la dimensione locale (governo delle aree sunnite della Siria e dell’Iraq) per proporre a tutti i musulmani sunniti un governo politico unitario della Umma.
Il Califfato è, per sua natura, universale e quindi espansionista. Non riconosce i confini né gli Stati esistenti.
       Dato il suo carattere universalistico - e sovversivo dell’ordine costituito - il richiamo ad un Califfato esercita una grandissima attrazione su tutti gli scontenti delle popolazioni arabe e musulmane e spiega sia la serie di adesioni (baya’a) all’ISIS di movimenti islamisti sovversivi in altre Paesi (ad es. Arabia Saudita, Yemen, Egitto/Sinai, Libia, Nigeria, ecc…), sia l’afflusso di combattenti stranieri da tutte le comunità islamiche, anche del mondo occidentale.
       Come è noto, il richiamo propagandistico del Califfato in tutto il mondo musulmano è veicolato da una attività di comunicazione che sfrutta in modo mirabile i media informatici, facendo leva su tutte le frustrazioni delle comunità musulmane, sia degli stessi Paesi islamici che dell’emigrazione.  

5) Il Califfato - per le caratteristiche ideologiche e per il suo programma politico - è quindi in urto con tutte le altre forme di Islam politico, a partire da al Qaeda da cui l’IS si è originariamente staccato. L’IS combatte infatti oggi contro altri movimenti islamisti in Siria, in Yemen, in Libia.
L’IS costituisce anche una minaccia diretta anche per i Governi degli altri Paesi islamici dell’area. Infatti, mentre al Qaeda ha fatto la scelta di combattere “il nemico lontano” (gli Stati Uniti e l’Occidente)[5] l’IS sceglie di combattere il “nemico vicino” cioè tutti gli Stati arabi e tutti i movimenti di Islam politico con impostazioni diverse dalla sua.
Lo Stato Islamico, per le sue caratteristiche ideologiche, non è in grado, né intende, di partecipare alla Comunità Internazionale. Non può infatti riconoscere altre autorità (nazionali o internazionali) con cui negoziare, perché non esiste altra sovranità di quella di Dio.
Quindi il progetto del Califfato, mentre gode di una vasta e crescente popolarità in determinati strati delle popolazioni musulmane, è politicamente isolato, nei confronti di tutti gli altri movimenti dell’Islam politico e degli Stati della Regione.

6) Per il momento l’espansione territoriale dello Stato Islamico è contenuta dall’azione congiunta dei bombardamenti aerei da parte dell’alleanza guidata dagli USA nonché, sul terreno ed in maniera territorialmente limitata, dalle milizie curde e dalle milizie sciite irachene sostenute dall’Iran. Ma nel frattempo sta rafforzando la sua presa nelle zone sunnite di Siria ed Iraq dalle quali non sembra per ora possibile sloggiarlo. In tali aree IS resiste soprattutto perché non ha nemici concreti sul terreno.
       Mentre lo Stato Islamico, di per sé, costituirebbe soprattutto un problema regionale, il suo abbinamento al progetto di un Califfato rappresenta un pericolo molto apprezzabile per la comunità internazionale e per l’Occidente, perché:
- nel caso di una destabilizzazione dell’Arabia Saudita (che travolgerebbe sicuramente le altre Monarchie del Golfo), ma anche della Giordania o dello Yemen, potrebbe allargare il suo controllo territoriale in una zona nevralgica del Medio Oriente;
- suscita una serie di fenomeni di imitazione da parte di altri movimenti islamisti nel mondo musulmano (Egitto/Sinai, Yemen, Libia, Nigeria, Afghanistan, ecc…);
- genera un’attrazione ideologica su molti ambienti estremisti dell’emigrazione islamica in Europa e nel resto del mondo occidentale, che già si manifesta in modo molto sensibile con le migliaia di “foreign fighters” provenienti anche dagli Stati Uniti, dall’Europa occidentale, dall’Australia, dal Caucaso.
       In conclusione il pericolo principale non è costituito dalla occupazione da parte dell’IS di parte della Siria e dell’Iraq, ma dalla attrazione esercitata, ben al di là della valle dell’Eufrate, dal Califfato e dal suo modello ideologico/politico.

7) L’occupazione di un vasto territorio in Iraq e Siria costituisce invece il suo principale elemento di vulnerabilità: senza una solida base territoriale l’IS diventerebbe un movimento jihadista “come gli altri” e verrebbe a mancargli la base concreta per la rivendicazione di un “Califfato”.
       In linea di principio il carattere “territoriale” dell’IS lo espone al pericolo di essere debellato da una forza militare convenzionale. Ma questa forza non esiste a livello regionale, ed i pochi Paesi dell’area che dispongono di eserciti di terra significativi (Egitto, Turchia, Giordania) hanno altri problemi interni cui dedicare le loro risorse militari, o altre priorità.
      Né la Comunità internazionale mostra molto interesse per un intervento militare dall’esterno della regione, i cui esiti politici sarebbero per lo meno incerti, che avrebbe certamente un costo umano altissimo per le popolazioni civili e che sicuramente fornirebbe nuovo ossigeno allo jihadismo internazionale.
       Un altro possibile punto di debolezza costituisce nel carattere largamente illegale delle sue fonti di finanziamento (vedi par.2). Un serio blocco economico, qualora ve ne fossero le condizioni politiche, contribuirebbe certamente a destabilizzare lo Stato Islamico.

8) La sconfitta e l’eliminazione dello Stato Islamico richiede comunque una premessa di carattere politico: è indispensabile offrire alle popolazioni sunnite della Siria dell’Iraq una alternativa alla soggezione all’ISIS che non sia il ritorno allo status quo ante, e cioè rispettivamente alla dominazione alawita e shiita su popolazioni a maggioranza sunnita.
Le recentissime dichiarazioni del Capo di Stato Maggiore uscente delle Forze Armate americane, Generale Ray Odierno – secondo le quali si potrebbe arrivare ad una divisione permanente dell’Iraq, ma il momento non è ancora giunto – potrebbero essere interpretate in questo senso.
Sono in teoria possibili varie formule (conferma delle partizioni di fatto già esistenti in Siria ed in Iraq, soluzioni federali o strutture confederali), ma esse necessitano tutte di una collaborazione tra Arabia  Saudita ed Iran perché la nascita dello Stato Islamico e del suo sedicente Califfato non sono che l’ultimo nefasto risultato della loro competizione regionale, accentuatasi dopo il disastroso esito del secondo conflitto iracheno.
Da registrare in proposito che il Segretario di Stato Kerry sembra aver strappato all’Arabia Saudita ed alle Monarchie del Golfo una approvazione di principio all’accordo nucleare con l’Iran[6], e che negli ultimi giorni sembra poter percepire un’attenuazione dello scontro tra Arabia Saudita ed Iran a proposito del conflitto yemenita.
Contemporaneamente si ha notizia di una serie di contatti tra i principali protagonisti della scena internazionale e regionale per trovare una soluzione politica alla crisi siriana. Potrebbero trattarsi dei primi timidi segni di una incipiente collaborazione politica mirante ad una ricomposizione della struttura politica dell’area.
Una volta individuate soluzioni politiche per il futuro della Siria e dell’Iraq, una sconfitta militare dello Stato Islamico potrebbe diventare più agevole, anche tenuto conto del suo isolamento politico, e potrebbe essere accettata più facilmente dalle popolazioni interessate.
L’effettivo avvio di questo processo permane ancora del tutto incerto, e una sua positiva conclusione ancora lontana e difficile da immaginare. Ma la sua possibile evoluzione sembra fornire la chiave per valutare lo svolgersi degli eventi nella regione nel corso dei prossimi mesi.