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Bond subordinati e crisi europea


Guido Colomba

L'indice di volatilità si trova ai massimi e conferma lo stato di profondo disagio dei mercati. La reazione positiva delle borse europee, dopo l'aumento dei tassi decisi dalla Fed, sembra contraddire questa situazione. In realtà, dal 2008 ad oggi, il debito "corporate" dei Brics è triplicato passando da 800 miliardi di dollari a 2mila e 600 miliardi. L'apprezzamento del dollaro e la caduta dei prezzi del petrolio e delle principali materie prime hanno aggravato la situazione specie per Russia e Brasile. Ora rischiano a livello mondiale le obbligazioni high yield. C'è una curiosa riflessione parallela sulla vicenda italiana dei bond subordinati. La piccola "bad bank" delle quattro banche salvate ha ereditato 8,5 miliardi di crediti in sofferenza (non performing loans) ad un prezzo di 1,5 miliardi, cioè con un taglio secco dell'82,6%. In pratica questi crediti deteriorati sono stati acquisiti al 17,4%. Se si guarda all'intero sistema bancario si scopre che il tasso medio di copertura dei crediti in sofferenza (pari a 200 miliardi) si aggira intorno al 60%. I grandi fondi specializzati nell'acquisto di crediti alternativi non sono disposti a pagare più del 20%. Un divario che, se praticato, costringerebbe le banche a registrare perdite di bilancio insostenibili. Ecco perché la Banca d'Italia ha finora tergiversato nel trovare una soluzione alla bad bank "senza aiuti di Stato" come ha imposto l'Unione europea. Ciò rende evidente il grave errore commesso dal governo Monti quando ha rifiutato di utilizzare i fondi di salvataggio europei. Gli altri governi non esitarono a salvare le loro banche in difficoltà: dalla Germania alla Francia, dalla Gran Bretagna all'Irlanda, dall'Olanda al Portogallo, dalla Spagna alla Grecia. L'Italia ha contribuito a questi salvataggi con 53 miliardi di euro aggravando il proprio debito interno. Ma i pregiudizi non sono terminati. In Germania stanno crescendo le obiezioni contro la flessibilità chiesta da Renzi. Lo stesso Draghi, presidente della Bce, viene criticato per l'acquisto di titoli sovrani sul mercato secondario nell'ambito del QE2. Ed ora è giunta la beffa della nuova normativa UE che ha reso impossibile la nascita di una "bad bank" con la garanzia dello Stato. Non a caso Renzi, presente al vertice europeo di Bruxelles, ha detto che negli ultimi anni "l'Italia è stata sotto schiaffo e non ha fatto sentire la propria voce". L'idillio con la Merkel è andato in soffitta. Dinnanzi al muro di gomma germano-centrico, la diplomazia italiana si sta riposizionando verso Londra e Washington. Significativo il "timing" scelto da Renzi per annunciare l'invio di 450 uomini in Iraq a difesa della diga di Mosul. Il governo di Roma è anche favorevole alla firma del trattato transatlantico, che ridurrebbe dazi e barriere commerciali tra Europa e Stati Uniti. Al contrario, sono proprio gli interessi societari del Nord Europa a frenare vistosamente. E' il momento di tracciare un bilancio. Il costo sostenuto dall'Italia come membro dell'Ue è molto elevato: 20 miliardi di euro all'anno mentre ne riceve non più di dodici. Uno sbilancio di ben otto miliardi. Certo, per troppo tempo le istituzioni italiane, a cominciare dalla Banca d'Italia, si sono plasmate sul modello renano compreso il deludente sistema duale nella governance bancaria. Anche su questo fronte si sta facendo marcia indietro. Vi è stata a Bologna, la risposta indiretta di Mario Draghi alle critiche dei falchi tedeschi. "Faremo tutto il necessario - ha detto - per far risalire l'inflazione. Ed ha sottolineato "l'urgenza di ridurre le sofferenze bancarie per fare ripartire il credito e l'economia". Una critica evidente all'austerity a senso unico imposta dalla Merkel.