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Avrà successo il vertice di Berlino tra Merkel e Renzi?


Guido Colomba

La risposta è positiva per due ragioni. La cancelliera tedesca sta subendo un attacco forte e protratto di Washington come dimostra il caso Volkswagen. Un attacco che, con lo shale gas e il crollo del prezzo del petrolio, ha reso vulnerabile i preziosi mercati di esportazione tedesca in Russia e non solo. La spinta verso est si è fermata con l'aggravante dei Brics in chiara difficoltà e in preda alla guerra delle valute. Non vi è dubbio che anche il problema degli immigrati, aggravato dall'azione terroristica dell'Isis, sta indebolendo la leadership della Merkel in tutto il Nord Europa tanto da scuotere l'impianto di Schengen. La seconda ragione risiede nell'endorsement che Angela Merkel ha fin qui accordato a Matteo Renzi.  A Berlino sanno benissimo che un euro a due velocità non è fattibile e rischierebbe di creare il panico sistemico che proprio il bail-in vuole esorcizzare. Draghi è stato molto chiaro ed ha lasciato intendere ai vertici di Berlino che non è il caso di giocare con il fuoco. Ecco perchè Renzi va a Berlino forte dell'accordo preventivo sulle sofferenze bancarie raggiunto a Bruxelles da Padoan. I mercati per ora non hanno gradito (Borse in ribasso anche oggi) questo accordo perchè hanno capito che ogni falla aperta sul fronte italiano è un pericolo per tutta Europa visto che l'esposizione sui derivati è molto più alta nelle principali banche europee. L'azione politica di Renzi offre, per le istituzioni europee, un triplice margine di vantaggio poichè (a) riesce a frenare i populismi euro-scettici in Italia e in Sud Europa, (b) ha avviato concretamente le prime riforme e (c) rappresenta la "front line" più affidabile per l'immigrazione. Ed è significativo che i principali opinionisti italiani siano invece assai negativi e critichino apertamente la polemica avviata nei giorni scorsi da Renzi verso la burocrazia di Bruxelles controllata dalla Germania. Come se il fallimento della politica economica europea, dopo otto anni di crisi, non stia rischiando di provocare l'implosione europea. Una polemica accecante. Addirittura, sui media italiani, si è proceduto ad esaltare il ruolo di Angela Merkel "l'unico vero statista europeo" (re: Giavazzi, Corriere della Sera 28/1/16)). Dimenticando che proprio la Germania ha impedito per oltre tre anni alla Bce guidata da Draghi di adottare il "QE" della Fed a favore dell'economia reale e dell'occupazione. Un tema richiamato continuamente dagli economisti statunitensi e alla base dei contrasti con la Casa Bianca (basta leggere i testi relativi alle riunioni G8 e G20). Dunque, il problema non è costituito dal presunto "complotto" della speculazione contro le banche italiane ma quello, più documentato, di quanti si sono allineati ad altre potenti lobby estere. Certo, l'accordo tra Padoan e la Ue appare complesso sul piano tecnico. Il costo per ottenere la garanzia dello Stato è condizionato ai livelli del mercato. Ma vi è un caposaldo basato sulle imminenti misure del Cdm per abbreviare normativamente i tempi di recupero dei crediti (la cui media oggi è di otto anni). La via maestra per far ripartire le cartolarizzazioni e per rendere operativa, dopo anni di attesa, la polizza su 89 miliardi di sofferenze bancarie a rischio. Una svolta epocale sui lacci e laccioli che affliggono l'Italia.