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Riuscirà Hillary Clinton a fermare il ciclone Trump?

Guido Colomba


Riuscirà Hillary Clinton a fermare il ciclone Trump? Una prima risposta è stata fornita dallo stesso Barack Obama quando ha ammesso, in una lunga intervista al magazine del New York Times, il malessere diffuso tra i cittadini americani. L'economia cresce ma la metà dei guadagni aggiuntivi va al famoso uno per cento dei cittadini più ricchi. Non basta. Il ceto medio si è impoverito con il reddito medio che è sceso di 4.000 dollari rspetto alla presidenza di Bill Clinton. Fu proprio sotto Clinton che fu abolito il vincolo che separava le banche commerciali dalle banche di investimento. Una decisione infausta, Da allora vi sono state ben tre bolle finanziarie i cui effetti negativi sono tuttora in corso. Obama cerca di difendere la sua presidenza durata otto anni: "Abbiamo salvato le banche, l'auto, il mercato immobiliare. La disoccupazione dal 10% è scesa a 5,73 mesi consecutivi di crescita dei posti di lavoro, mai successo prima. Ne abbiamo aggiunti 14,4 milioni. E abbiamo ridotto fortemente il deficit pubblico. Vi pare un fallimento?" Ma la risposta di Trump è durissima e cavalca il malumore che attraversa il paese. Trump vede il paese sprofondato in problemi da terzo mondo. Con una Cina che esporta negli Usa 700 miliardi di merci e servizi e si mangia ogni anno 400 miliardi di dollari. Con un vicino Messico che pone un problema di milioni di migranti ben superiore a quello che affligge l'Europa. Trump propone una riduzione delle tasse con una aliquota "flat" al 25% (oggi al 39,6%) e, da pochi giorni, parla apertamente di far pagare più tasse ai ricchi. Ed ha aggiunto: "Io ho voglia di pagare di più". E' solo "populismo"? Purtroppo è un fatto sotto gli occhi di tutti che le diseguaglianze si sono accentuate. La stessa Hillary Clinton parla di allarme sociale e di un Paese che fatica ad arrivare alla fine del mese. La caduta dei redditi incide anche sulla lunghezza della vita. Non è certo una variabile esogena. Siamo alla vigilia di una nuova fase? Fu la California, nel 1967, ad anticipare rispetto all'Europa la protesta sociale. A cinquanta anni di distanza e dopo venti anni di "deregulation" autodistruttiva, l'Occidente cerca un nuovo equilibrio. Le fasi di transizione sono sempre le più difficili. Un tema caro a papa Francesco che, in anticipo su tutti, invoca misericordia (il Giubileo del 2016) e solidarietà. L'economista Zingales ha posto il problema dei guadagni stratosferici ottenuti da banchieri e supermanager. Anche quando le aziende vanno male. In Europa come negli Usa. La crisi del partito repubblicano rappresenta un effetto collaterale indotto da questi fenomeni sottostanti. Vi è la crisi del debito propro mentre il mondo è sommerso dalla liquidità dello "shadow banking". Trump, come la Grecia, vorrebbe abbattere il debito pubblico chiedendo uno sconto ai creditori o rinegoziando i tassi di interesse nel frattempo scesi ai minimi storici. Guido Rossi definisce la fase attuale come "la malattia globale della politica". A sua volta Kenneth Rogoff afferma che l'ipocrisia dell'Europa "si chiama diseguaglianza". Vi è un evidente processo di identità sui problemi che affliggono le due sponde dell'Atlantico. E' tempo di grandi decisioni.