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Usa-Europa, rilancio della cultura



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 Guido Colomba

La riscoperta della “cultura” come traino del modello di  sviluppo.  Un leit motiv dimenticato da Obama e dai vertici europei?  La crisi in cui si dibatte l’Occidente dal 2008 ad oggi sembra confermarlo. Né può essere confutato con lo sviluppo economico (+2,4% il PIL atteso nel 2016 ) che gli Stati Uniti sono riusciti ad ottenere. Il problema delle crescenti diseguaglianze, associate alla crisi della middle class, è testimoniato da tensioni sociali che la stessa campagna presidenziale Usa ha evidenziato.  Se l’Occidente vuole battere un colpo cominci dalle future generazioni. In un certo senso Obama ha tradito se stesso guardando soprattutto verso il Pacifico.  Nel famoso discorso pronunciato ad Alessandria d’Egitto, suscitò grande entusiasmo ovunque, in Europa come in Africa, in Medio Oriente. Milioni di giovani hanno creduto alle sue parole. Ma cosa è rimasto della “primavera araba”?  Occorreva varare un nuovo programma Fulbright (che festeggia quest’anno il settantesimo anniversario con oltre 8000 studiosi e ricercatori sulle due sponde dell’Atlantico). Concedere borse di studio insieme a programmi di formazione e di lavoro era il solo modo per affrancare le giovani generazioni dai regimi oppressivi in cui erano costretti a vivere. Nulla di tutto ciò è accaduto.  Le speranze deluse si sono trasformate rapidamente in frustrazione e in sentimenti di ribellione.  Un male pervasivo che si è esteso nei Paesi europei e negli Stati Uniti colpendo alla radice i partiti storici.  Proprio le difficoltà incontrate tra Usa e Ue nelle trattative sul Ttip debbono indurre ad un ripensamento creando un “ponte” tra Stati Uniti ed Europa attraverso un rilancio gigantesco degli scambi culturali. L’Occidente deve (1) spendere per borse di studio in facoltà scientifiche e non solo; (2) adottare criteri di selezione proprio per ricreare un clima di aspettative nei giovani attraverso la cultura del merito. Il pericolo maggiore che le diseguaglianze sociali hanno determinato è costituito dall’ ”educational divide”, la diseguaglianza del sapere evocata in Italia da Carlo De Benedetti. “I miei nipoti – ha detto al Corriere della Sera (re: 9 luglio 2016) – vivranno in un mondo in cui non si sarà discriminati per i soldi o il colore della pelle, ma per l’accesso al sapere. La più costosa delle ingiustizie”. Cosa ne pensa il presidente Obama?  Mancano quattro mesi alle elezioni presidenziali e circa sei mesi al passaggio delle consegne alla Casa Banca.  Barack Obama fa ancora in tempo a lasciare il “timbro” dei suoi otto anni, con una grande iniziativa a favore della cultura.  Un “heritage” storico sicuramente molto ambito in un mondo che ha riscoperto l’etica. Il valore solidale della cultura e della ricerca potrà rilanciare l’intesa TTip con l’Unione europea, intenta nel disegnare una strategia dell’innovazione a cominciare dalla banda larga. A questo tema, è molto sensibile il governo Renzi, impegnato nella proposizione di una nuova politica industriale che miri alla crescita della produttività. Tutto si lega. Di certo, l’investimento nella cultura è quello che racchiude il più alto valore aggiunto poiché si proietta sulle future generazioni.  Non mancano gli esempi riferiti al passato. Il programma Fulbright  in Italia, ricco di oltre 3.500 borse di studio e di ricerca, registra tre premi Nobel (Carlo Rubbia, Tullio Regge, Riccardo Giacconi) e personalità come Umberto Eco, Giuliano Amato, Gianfranco Pasquino, Sabino Cassese, Margherita Hack. Tra gli statunitensi i Nobel E. Segre e O. Williamson poi L. Maazel, R. Putnam, La Palombara, R. Serra. Ora, è il momento di guardare avanti.