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Protezionismo o economia di guerra?


Guido Colomba

Protezionismo o economia di guerra? Secondo Goldman Sachs, il QE di Draghi sta arrivando al capolinea per la semplice ragione che nel 2017 non vi saranno più titoli di Stato acquistabili secondo le attuali regole (in proporzione alle quote di partecipazione nazionale nella Ue). Nè è ipotizzabile, tenuto conto della posizione ufficiale di Schauble, che la Bce concentri gli acquisti solo sui bond "investment grade". Addirittura il governo tedesco, insieme a gran parte dell'establishment, punta a un surplus del bilancio pubblico in aggiunta al gigantesco attivo commerciale di 310 miliardi di euro (8,9% del Pil rispetto al limite del 6% previsto da Bruxelles). Un autentico record mondiale. Alla base di questa policy vi è l'obiettivo di "essere pronti per affrontare la crisi". L'idea di suggerire ai cittadini tedeschi di fare scorte di viveri e acqua per almeno quindici giorni da l'idea di una situazione psicologicamente molto tesa. Ed è evidente che Berlino, forte di questi imponenti mezzi finanziari, consideri la soluzione turca per i migranti la migliore possibile puntando ad una sua estensione operativa all'Egitto e alla Tunisia. Il G20, appena concluso in Cina, ha messo in evidenza due verità: (1) non vi sono ricette immediate per fronteggiare il rallentamento mondiale; (2) l'Occidente è spaccato in due. Da un lato, Usa e Gran Bretagna sono riuscite ad evitare i tassi negativi e la deflazione. Dall'altro, l'Europa si è messa sulla scia del Giappone (campione della stagnazione negli anni '90), con ben diciotto Paesi in preda ai tassi negativi a conferma di aspettative di crescita deludenti aggravate da costi crescenti (disoccupazione e migranti). Il debito pubblico cresce ma non crescono gli investimenti. E' questa la trappola dei tassi negativi. L'austerity imposta da Berlino in questi lunghi otto anni di crisi è stato l'incubatore di questa situazione. Nè si comprende chi difende il permanere di una globalizzazione "senza regole". Due cifre spiegano gli effetti di questa morsa globale sull'Italia: dal 2008, in pochi anni, gli investimenti di colpo calano del trenta per cento. Il Pil scende del dieci per cento. Eppure, Mario Monti, premier dal 2011 al 2012, continua a lodare (re: Corriere della Sera, agosto 2016) la politica germano-centrica e il "fiscal compact" fatto sottoscrivere senza contropartite dal Parlamento italiano. I dati parlano chiaro. C'è all'orizzonte una notizia positiva legata al risparmio degli italiani. Il calo dei rendimenti accresce l'interesse per l'economia reale specie nel mondo della previdenza che dispone di un patrimonio di oltre 262 miliardi (calcolando i fondi pensione aperti) con un incremento dell'88,1% dal 2004 al 2015. Gli iscritti sono oltre 7,2 milioni ed hanno versato nel 2015 8,6 miliardi di euro. E' un enorme flusso di denaro. Tocca alla politica e alla finanza alzare lo sguardo favorendo, con adeguate garanzie (come nel passato), il circuito risparmio-investimenti.