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Macron può vincere perché propone una alternativa alla crisi dei partiti


 

«Ora deve restare coerente può vincere senza i partiti»

L’ex premier: la spinta innovativa di Macron ha battuto la crisi di fiducia «Con risultati simili, l’Italia senza un governo: serve la legge elettorale»

Intervista di Mario Ajello a Romano Prodi su Il Messaggero del 25 aprile 2017

Romano Prodi è a Dubai. Da laggiù, vede l’Europa, la sua Europa, di cui è stato presidente, che tira un sospiro di sollievo. Almeno nelle sua parte non populista, non lepenista. La performance di Emmanuel Macron (si è affermato al primo turno con il 23,75 per cento), che comunque andrà confermata nella partita finale delle presidenziali in Francia, segna una risposta in senso innovativo alla grande crisi di fiducia che percorre gli elettorati di molti Paesi. Così la vede Prodi, che resta uno dei conoscitori più attenti di ciò che si muove nel corpo sociale e politico del continente.
Non si nasconde comunque, il Professore, che una società cosi frammentata, anche elettoralmente, costituisce un problema. E che dopo il 7 maggio (data del ballottaggio contro Marine Le Pen), se Macron completerà il suo successo, sarà necessaria un’opera di ricostruzione delicata e profonda.
Professor Prodi, a questo punto Macron vincerà?
«Me lo auguro con tutto il cuore, naturalmente. Leggendo i primi dati sul voto nelle varie regioni, emerge il fatto che non si ripete nella scelta degli elettori lo schema destra/sinistra ma interviene la dicotomia dentro-fuori, in-out. Macron è stato intelligente a stare dentro il sistema ma in maniera assolutamente innovativa. Ha mostrato il coraggio di essere pesantemente filo-europeo, senza correre dietro agli altri».
Questa è la sua forza?
«Nemmeno Mitterrand è stato così determinato, e i suoi erano tempi in cui era più facile, rispetto ad oggi, avere un programma filo-europeo».
Se vince, quale sarà per lui la vera questione da affrontare?
«Il compito che avrà, se diventerà presidente, è quello di unificare la Francia. Il voto per Le Pen e Mélenchon dimostra che molti ancora provano un disagio e una delusione forte. Proviamo a pensare se lo stesso schema di voti, appena emerso in Francia, uscisse dalle urne italiane con l’attuale legge elettorale».
Che cosa succederebbe?
«Che il nostro Paese sarebbe ingovernabile. La prima lezione che arriva da Oltralpe è l’invito a dotarci di un sistema elettorale, che permetta di avere un governo. In Francia, hai un 40 per cento dei cittadini che si sente fuori dal sistema. E quelli che stanno dentro il sistema si frantumano in tre diversi schieramenti: gli elettori di Macron, quelli di Fillon, quelli dei socialisti. Soltanto con un sistema elettorale serio, riesci a ricomporre una nazione e un quadro politico così frammentati. L’Italia è a sua volta abbastanza frammentata, con l’handicap di non avere un sistema elettorale che la ricomponga».
Macron come può vincere il 7 maggio?
«Ha avuto un grande merito. Oltre a rappresentare il mondo interno al sistema, è riuscito a raccogliere le persone che rassicurano i francesi, pur aderendo alla sua piattaforma innovativa. Figure di saggezza. Come Francois Bayrou, Sylvie Goulard, Jacques Attali e tanti altri. Macron ha rappresentato uno spirito innovativo, riuscendo però ad attrarre la fiducia delle persone che incarnano, per dirlo con un po’di ironia, il mondo del progresso senza avventura».
Ora quali sono i rischi per il favorito del secondo turno?
«I rischi ci sono sempre. Perché quando un Paese è così diviso tra in e out, possono succedere sorprese. Però tutto quello che serve per dargli forza, cioè l’appoggio dei principali concorrenti, è la maggiore garanzia di Macron per il successo».
L’eccesso di appoggio delle cancellerie europee non potrebbe rivelarsi un problema per lui, rischiando di schiacciarlo troppo sul potere vigente?
«Non mi sembra che questo possa danneggiarlo e così non è stato finora. Ciò che favorisce Macron è l’ostilità di Trump. Gli errori del presidente americano e quelli di Putin stanno creando un patriottismo europeo, che forse non c’era. Trovo molto strana la posizione di Trump e incomprensibile quella di Putin. Storicamente, la Russia e l’Europa hanno bisogno l’una dell’altra. Mi stupisce che Putin abbia dimenticato questo interesse di lungo periodo della Russia. La quale può portare avanti bene il proprio processo di modernizzazione, che è quello a cui mira Putin, soltanto tramite un rapporto stretto e collaborativo con l’Europa».
Ora, nel finale di partita, Macron sarà più ecumenico, per raccogliere più voti possibile?
«Guai a cambiare faccia tra il primo e il secondo turno. L’unica cosa che Macron non deve fare è deviare dal suo programma, che gli ha procurato l’appoggio degli avversari. Deve essere coerente. Anche perché solo con la coerenza può preparare le necessarie alleanze di governo».
Il suo problema, considerando che non ha un partito, saranno le elezioni legislative di giugno?
«Sì, quello è un problema. Però il sostegno che ha avuto dopo il primo turno è la migliore premessa per creare una coalizione di governo».
Senza un partito, dunque, si può arrivare all’Eliseo e restarci?
«Ci si può riuscire, se si è capaci con una spinta innovativa di sostituirsi alla crisi dei partiti».
Lei perché non ce l’ha fatta a sostituirsi ai partiti, pur avendo vinto due volte le elezioni in Italia?
«La crisi dei partiti è più profonda di prima. Soltanto in Germania, anche se indebolita, resiste la struttura tradizionale delle forze politiche cosi come le abbiamo conosciute nel 900 e oltre».
Non sarà una passeggiata per Macron governare la Francia.
«Questo è ovvio. La questione vera è che la società in frammenti, fotografata dal voto di domenica scorsa, ci sarà anche dopo il voto del 7 maggio. Almeno in questa fase, però, Macron è riuscito a ricomporre una gran parte della Francia. E ci sono, a mio modo di vedere, tutti gli elementi per essere ottimisti».