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Rimpianto e nostalgia per le idee e i risultati dell’“era Obama”.



Alberto Pasolini Zanelli
Donald Trump non è solo impegnato nelle crescenti difficoltà e sempre più difficili scelte in politica estera: deve preoccuparsi anche della finanza, del bilancio di cui ridurre il deficit, della riforma della sanità pubblica. In questi campi di battaglia gli scontri non sono meno ardui che negli scambi fra le Cancellerie. E il tempo stringe anche di più. Nelle ultime ore si è deciso di rinviare un’altra volta la presentazione del piano di riforma del sistema sanitario e questo non solo per i difetti che del progetto sono sempre più evidenti, ma anche per le conseguenze finanziarie ma soprattutto politiche che tale riforma, o controriforma, perché essa mira a cancellare o ridurre le innovazioni portate da Obama durante i suoi otto anni di Casa Bianca. A differenza delle decisioni in politica estera e soprattutto militari, l’ospite della Casa Bianca non è tenuto a presentarle in prima persona. A questo pensano le gerarchie del Partito Repubblicano, che in teoria dispone di una maggioranza ristretta ma sufficiente, ma in realtà è tormentato in questi due settori da crescenti defezioni, che gli hanno fatto finora mancare le maggioranze necessarie e hanno indotto i suoi leader, di fronte alla possibilità di una sconfitta al Senato o alla Camera o in entrambi i rami del Congresso a preferire il male minore, cioè una serie di rinvii che permettano ai leader, compreso ma non solo il presidente, di trovare un compromesso, rinunciando ad alcuni obiettivi, i più impopolari.
La prima decisione dovrebbe, o almeno potrebbe, venire proprio sul sistema sanitario. Il bilancio federale proposto include infatti un taglio di 800 miliardi di dollari, sia pure in dieci anni, del Medic Aid, che nell’attuale formula obamiana dovrebbe provvedere a diminuire i costi per gli strati più poveri della società americana. Per esempio il programma di assicurazione per la salute dei bambini richiederebbe tagli immediati di oltre tre miliardi. Tutto questo per diminuire il disavanzo federale, che continua a crescere a un ritmo solo marginalmente ridotto. I rimedi avanzati offrono all’opposizione democratica agevoli motivi per opporsi, non solo nel settore medico ma sull’impostazione generale del budget. Ad esempio per quanto riguarda le tasse sull’edilizia, che dovrebbero venire ridotte sensibilmente in una formula in gran parte consigliata se non dettata dal potere della lobby edilizia. Un altro capitolo riguarda la diminuzione delle tasse statali e locali, che attualmente favorisce in effetti i settori democratici dell’elettorato. I repubblicani invece vorrebbero eliminare il totale di queste contribuzioni, il che andrebbe a favore dei ceti più abbienti e contribuire così alla concentrazione di ricchezza tipica degli Stati Uniti. Anche questa proposta incontra molte difficoltà, forse insuperabili. Se ne è reso conto anche Paul Ryan, che rappresenta più coerentemente l’anima conservatrice del Partito repubblicano e che per questo presiede la maggioranza del Senato e che ha pronto un progetto bis, che comprende però l’abbassamento delle tasse sulle imprese al fine di scoraggiare l’esportazione all’estero di capitali e imprese. Anche questa formula, agli occhi dei democratici, avvantaggerebbe gli strati più ricchi, “prendendo nel mirino i poveri”, “portando le diseguaglianze di reddito a un livello estremo”. Uno dei parlamentari ha trovato addirittura una formula più radicale. Nel progetto di Trump e di Ryan manca una cosa: il cuore.
Non solo, ma ci sono anche dei repubblicani che condividono, sia pure in modo meno drastico, queste riserve e agiscono in modo da impedire finora addirittura la presentazione in Congresso di queste innovazioni. Il Senato di Washington, come è noto, ha una maggioranza repubblicana ma ristretta: 52 seggi contro 48 dei democratici. Basterebbe dunque il passaggio al “fronte del no” di tre di questi parlamentari per bocciare l’intera proposta. Per evitare il rischio di uno scontro frontale, il leader repubblicano in Senato, McConnell ha annunciato il rinvio del voto al 4 luglio. Non è molto, ma può passare per un gesto di buona volontà.
Non è però agevole effettuare in pochi giorni dei tagli perché ci sono anche altri parlamentari repubblicani, almeno tre, che minacciano un voto negativo se il programma sarà “troppo moderato”. Ma se sarà bocciata la riforma sanitaria, ciò ridurrà le aree in cui la riduzione delle tasse sarebbe accettabile e ferirebbe gravemente l’intero progetto. Negli ambienti parlamentari e nella stampa si comincia ad esprimere rimpianto e nostalgia per le idee e i risultati dell’“era Obama”.
Pasolini.zanelli@gmail.com