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Modello "renano" e derivati


Guido Colomba

L'Italia, da venti anni, subisce le decisioni estere con gravi danni agli interessi dei consumatori e dei risparmiatori. Inoltre, i contratti in strumenti derivati "per far cassa" hanno snaturato la finanza pubblica e quella locale consentendo alla politica continue deroghe rispetto al "buon governo". Non a caso il deficit pubblico continua a salire nonostante l'austerità. Da Draghi a Visco, questo trend è rimasto immutato. Due riferimenti hanno ispirato la nomenklatura di Via Nazionale: (a) il modello renano; (b) i contratti su strumenti derivati. Il primo ha permeato gran parte degli orientamenti della Banca d'Italia. Solo così si spiega l'adesione passiva a tutte le misure adottate nel contesto europeo: dal rapporto di cambio lira-euro che tanto ha penalizzato i consumatori italiani, alle regole di Maastricht che hanno formalizzato la politica dell'austerità. E, di recente, dal "bail-in" (decisa dal tandem Merkel-Sarkozy) che nel 2015 ha spazzato via - colpendo obbligazionisti e azionisti delle banche- il rapporto fiduciario tra risparmiatori e aziende di credito, alla Vigilanza Bce i cui criteri di valutazione dei crediti deteriorati sono risultati sempre più severi (determinando l'acquisto a basso prezzo da parte dei Fondi esteri...) mentre sugli asset in derivati delle grandi banche europee si sono chiusi gli occhi sia a Bruxelles che a Francoforte. Ed ora, si tenta il colpaccio contro gli acquisti delle banche italiane in Titoli di Stato (come se l'Italia fosse insolvente) a tutto vantaggio della speculazione estera. Un dato che conferma che, con l'euro, il debito italiano è di fatto in valuta estera (re:Lucrezia Reichlin, 24 ottobre). Il secondo riferimento, quello sui derivati, è ancora più grave. Lo strumento è stato utilizzato, a partire dalla seconda metà degli anni '90, in misura crescente tanto da essere perfino utilizzato "per far cassa" dagli enti locali (comuni, province e regioni). Introiti a breve, debiti a lungo. Qualche esempio? Basti ricordare (1) la tecnica usata dal Monte Paschi (Mussari presidente) nell'utilizzo dei contratti derivati con Nomura e Deutsche Bank per mascherare la grave situazione della banca toscana; (2) l'autorizzazione concessa da Draghi allo stesso Mussari per l'acquisto a prezzi folli di Antonveneta senza nemmeno richiedere una "due diligence"; (3) il continuo acquisto da parte del Tesoro di contratti in derivati swap contro il rischio di aumento dei tassi (eppure sono in discesa da sette anni...). Il Parlamento se ne è occupato valutando in circa 24 miliardi la perdita derivante da queste scelte "tecniche" scellerate. Solo nel 2016 tali perdite hanno superato i cinque miliardi. Tuttavia, nulla è cambiato e gli acquisti in contratti derivati continuano. Quanto alla trasparenza basti ricordare le "porte girevoli" (senza i tempi di attesa previsti nei Paesi più avanzati) che hanno accompagnato l'alta dirigenza di Via Nazionale nelle istituzioni e banche estere, ma anche in Italia nelle banche, nella Rai e nelle politica con i più alti incarichi. I professionisti della politica hanno ampliato a loro piacimento (e condizionamento) questi comportamenti. Non basta lodare l'alto profilo culturale e intellettuale di questa nomenklatura. Nessuno lo mette in dubbio. Ma tutto ciò (autoreferenzialità) ha permesso di ignorare il problema dei giovani, del disagio sociale, della caduta della classe media, della precarietà a salari decrescenti, della formazione universitaria. Occorre tornare alla cultura innanzitutto per ricostruire la fiducia. Un ministro del lavoro si è persino rallegrato ("così ce li togliamo di torno") della fuga all'estero dei giovani. Ora, è in corso una ripresa economica. Ce ne rallegriamo. Ma essa non basta a invertire la tendenza di fondo per ridurre le diseguaglianze e assicurare un futuro alle giovani generazioni.