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Il futuro non sta nella chiusura degli spazi commerciali ma nel rispetto delle regole


Il futuro non sta nella chiusura degli spazi commerciali ma nel rispetto delle regole
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 11 marzo 2018
Il Presidente Trump ha unilateralmente deciso di imporre corposi dazi alle importazioni di acciaio e di alluminio negli Stati Uniti. Una decisione talmente controversa non solo da provocare risentimenti da parte di tutti i paesi colpiti ma da indurre alle dimissioni il suo stesso consigliere economico.
Se esaminiamo le conseguenze concrete della decisione potremmo anche non essere né sorpresi né allarmati. Non sorpresi perché già Nixon, Bush e Reagan avevano, nella storia recente, adottato misure simili. Non allarmati perché esse riguardano una parte importante ma non determinante del commercio mondiale. Si tratta infatti di un dazio che pesa su un modesto 2% delle importazioni americane.
La decisione appare invece molto grave. Prima di tutto perché motivata non dalla necessità di reagire nei confronti di violazioni alle regole del commercio internazionale (come in passato) ma dall’obiettivo di proteggere gli Stati Uniti di fronte a possibili minacce alla sicurezza nazionale. Un’affermazione del tutto assurda, dato che i paesi danneggiati sono soprattutto paesi amici e strettamente legati agli Stati Uniti come Canada, Brasile, Corea del Sud, Messico e Germania, mentre quasi nulle sono le conseguenze sulla Cina, sempre additata da Trump come l’origine di ogni violazione delle regole del commercio internazionale.
Anche se le tariffe addizionali sono state temporaneamente sospese nei confronti di Canada e Messico in modo da tenerli sotto scacco durante la trattativa di riforma del trattato commerciale che strettamente li lega agli Stati Uniti (il NAFTA), non si vede quale possibilità di attentato alla sicurezza nazionale americana possano portare la Germania o la Corea del Sud, fedeli alleati nello scacchiere Atlantico e Pacifico. Anche se non dirompente in termini quantitativi, si tratta quindi di un’ennesima decisione di Trump che porta una grande insicurezza fra i suoi alleati.
Per limitarci all’Europa è infatti opportuno riflettere sul fatto che, come scrive con una certa preoccupazione il New York Times, questa decisione non può che rafforzare la diffidenza dei nostri leader, e in primo luogo della Cancelliera tedesca, nei confronti dell’alleato americano. Di fronte all’imprevedibilità del presidente Trump e alla sua esclusiva attenzione agli interessi del proprio paese (America First), Angela Merkel ha infatti più volte ripetuto che l’Europa deve fare di tutto per prendere il proprio destino nelle sue mani. Ed è un affermazione che non può che essere condivisa. Sotto quest’aspetto si può perfino affermare che la spinta più vigorosa verso una più forte unità europea nasce proprio da queste improvvise decisioni del Presidente Americano, decisioni che ci fanno sentire sempre più soli e insicuri.
Ritornando in ambito strettamente economico non ritengo che la risposta europea più opportuna sia la ritorsione, mettendo in atto la minaccia di dazi su prodotti tipici americani come le Harley Davidson, i Jeans o i succhi di arance della Florida. Questo non farebbe che provocare analoghe rivalse sulle automobili o su altri beni importati in Usa, iniziando una spirale che ci porterebbe al disastro.
L’Unione Europea, che in quanto tale ha la competenza esclusiva delle nostre trattative commerciali, deve agire in modo unitario e con fermezza per fare rispettare le regole del commercio internazionale che, pur con le loro debolezze, hanno permesso lo sviluppo di un’economia mondiale proprio trascinata dal commercio internazionale.
È vero che il sistema è tutt’altro che perfetto. Da ormai vent’anni non riusciamo a fare grandi passi in avanti in questo settore perché frenati dall’incapacità di armonizzare gli interessi fra paesi avanzati e paesi in via di sviluppo e di tenere conto di tutte le novità della tecnologia e di tutte la trasformazione dell’economia. È tuttavia indubbio che le basi giuridiche del WTO hanno garantito e garantiscono uno sviluppo del sistema economico mondiale come mai si era avuto in passato. Ed è su questo che si deve fondare la nostra strategia.
Penso inoltre che una corale e ferma difesa delle regole esistenti possa avere successo non solo perché aiutata dalle crescenti opposizioni interne che la decisione di Trump ha suscitato perfino tra i repubblicani americani, ma perché confortata dai dati che emergono dalle stesse analisi economiche statunitensi. Esse dimostrano che i posti di lavoro distrutti dal rincaro dei costi delle imprese che usano l’acciaio e l’alluminio sono di oltre cinque volte superiori alle nuove assunzioni prodotte dall’introduzione dei dazi aggiuntivi.
Vi è tuttavia un motivo ancora più profondo che spinge a credere che ben difficilmente si potranno ripetere i freni al commercio che hanno prodotto le grandi crisi del passato. È infatti la stessa economia dell’intero pianeta che è cambiata. Gli investimenti incrociati fra diversi paesi e l’esistenza di imprese che producono e vendono in tutti i mercati mondiali hanno tolto l’illusione che con l’aumento delle dogane si possa difendere l’economia nazionale. Il nostro futuro non sta nella chiusura degli spazi commerciali ma nel rispetto delle regole.
Capisco che questa posizione può sembrare eccessivamente ottimistica ma la vedo oggi sostenuta da un più forte e diffuso interesse condiviso. Il che, naturalmente, non impedisce che nel mondo esista ancora un grande spazio per il prevalere dell’irrazionalità. Ed è questo che dobbiamo cercare di evitare, esercitando prima la pazienza e poi, in caso, la fermezza.